La promessa di cartone
Oggi ho iniziato a inscatolare tutti i miei gioielli. Capirai, sai quanti ne ho… Ho una montagna di schifezze di legno di cocco e di avorio vegetale comprate sulle bancarelle di tutto il mondo. Però credo che in qualche cassetto della mia casa piccolissima possano entrare. Ti ho trascinato per le bancarelle di tutto l’universo. Parigi, Valencia, Bangkok, Dubai. Quanto ti annoiavi, quanto ero contenta! Sento quella sensazione di felicità semplicemente immergendo le mani nella scatola piena di cavigliere fatte di pezzetti di conchiglia. E mentre ho di nuovo il mondo tutto chiuso nelle mie scatole, succede quello che non dovrebbe accadere. Come al solito, del resto. Una mano sfiora qualcosa di liscio, un cartoncino. Che poi io già lo so che cos’è e una parte di me non vorrebbe proprio tirarlo fuori. Solo che non sempre il cervello mi funziona bene e allora, ecco qua. Che pasticcio.
Mille vite fa andavamo in un posto veramente brutto. Mi ci hai portato la prima volta che siamo usciti. Non c’era spazio per sedersi e così ci siamo appoggiati ad un muretto. Io volevo fare la donna di mondo, quella che conosce tutto e tutti. In realtà, mille vite fa, non avevo idea che esistessero locali senza tavoli, senza sedie e non immaginavo proprio che i primi appuntamenti si potessero avere su un muretto tutto scorticato. Però volevo che tu pensassi che io fossi proprio perfetta e dunque ho fatto finta di sapere tutto.
“Cosa prendi da bere?”
“Un succo di frutta”
“Un succo di frutta? Ma mica stai a scuola…”
“Oh beh…”
E a quel punto ogni carta era scoperta: non avevo mai nemmeno bevuto un cocktail. Mi hai guardato con quegli occhi grandi e per la prima volta mi sono resa conto che erano così grandi da poterci nuotare dentro.
E quegli occhi, per la prima volta, mi hanno detto: “Nella vita ci sono due certezze. Tu non hai mai bevuto niente di alcolico prima d’ora e a Torino ci sono sedici chilometri di portici”
Io non sapevo proprio cosa risponderti. Così ho stretto le spalle e ho sorriso. Quel sorriso un po’ imbarazzato di chi non sa cosa dire e, proprio per questo, vorrebbe nascondersi sotto a una mattonella.
“Dai, scelgo io. Ne dividiamo uno”.
E mentre tu sceglievi, io decidevo che volevo continuare a guardare quegli occhi fino alla fine del mondo. L’ho deciso subito. Su quel muretto appiccicoso, mentre facevo finta di bere un cocktail che, alla fine, hai bevuto da solo. Te lo ricordi?
Ti ricordi cosa mi hai detto?
“Voglio passare il capodanno con te…”
“Ma siamo ad ottobre…!
“Non importa. Così hai tanto tempo per organizzarti.”
Ho fatto una faccia presuntuosa ma non era vero niente. Era la promessa più bella perché da ottobre a dicembre avremmo potuto dirci “A domani” tutti i giorni. E non c’è impegno più solenne di questo.
Siamo ritornati in quel posto. Tante volte. Ricordo ogni dettagli: l’odore di fumo e cemento, l’aria stantìa, le suole delle scarpe che rimanevano incollate al pavimento, la musica.
E ricordo anche questo
“Che regalo vorresti?”
“Non so, non voglio suggerirtelo io.”
“Vorresti per caso un anello?”
“Un anello lo vorrebbe chiunque. Però dipende dal significato che gli diamo. Non voglio un cerchietto di metallo.”
“Per me un anello ha un solo significato. Non credo che potrò regalartelo”
Ho fatto una faccia indifferente ma non era vero nulla. Avevo capito che dicevi sul serio e che probabilmente non ci sarebbe stata la promessa di un “sempre”.
Faceva male, perché io un “sempre” te lo avrei promesso su quel muretto. Però non volevo che tu lo sapessi, allora ho sorriso. Solo che era un sorriso un po’ triste, uno di quelli che manda gli angoli della bocca verso il basso. E tu mi hai guardata, con i tuoi grandi occhi, e hai preso un cartoncino plastificato. Lo hai arrotolato, lo hai chiuso ai bordi. Poi mi hai preso la mano e me lo hai messo al dito.
“Forse non è quello che vorresti, ma è quello che posso darti”.
E andava bene perché non era un “sempre” ma era “per un sacco di tempo”. Sono tornata a casa e l’ho messo nella scatolina delle cose preziose. E l’ho conservata.
Ho riguardato quella promessa di cartone in ogni momento difficile e ho capito che il più grande errore che ho commesso è stato quello di non regalartene una uguale. Perché nei momenti difficili tu non hai proprio potuto ricordarti che avresti dovuto lottare per una promessa fatta su un muretto mille vite fa.
E così, mettendo via tutti i miei gioielli preziosi, la mia mano ha sfiorato un cartoncino arrotolato. L’unico anello che mi sia mai stato regalato. Non ho resistito: l’ho dovuto guardare.
Era ingiallito, ma c’era ancora il ricordo di un muretto e di un’aria pesante intrisa di fumo. C’era il ricordo di una promessa.
Per la prima volta mi sono infuriata. Di una rabbia cieca, incontenibile. Perché io avrei lottato fino all’ultimo respiro per quella promessa di cartone e, ora, la promessa non esisteva più. Era rimasto solo il cartoncino arrotolato. E il dolore più grande è che tu ora starai promettendo un “sempre” a qualcun’altra, con la quale costruirai una qualche forma di felicità. Mentre io, nella mia casa piccolissima, al massimo potrò ascoltare l’eco di una felicità lontana e solo fugacemente assaporata. Potrò forse immaginare il suono delle risate dei nostri figli mai nati. Che avrebbero avuto i tuoi grandi occhi.
Allora sai cosa faccio? Non la conservo questa promessa. Il rimpianto non deve diventare un’abitudine.
Non c’è spazio nella mia casa piccolissima per le promesse non mantenute.