L’amore finisce, la fame no
Unisco come al solito gli episodi dei miei giri standard in un’unica, interminabile giornata. Tra lavoro, pause-caffè, tour svogliati al supermercato e passeggiate serali digestive.
Cominciamo con la pausa-caffè della mattina, siamo ancora in periodo prepandemico. Il barista lo conosco da un po’ di anni, potrebbe essere mio figlio. Veramente no, alto, biondo, palestrato, occhi azzurri… vabbè avrà preso dal padre immaginario. Il collega, decisamente più adulto e insignificante, lo guarda e con un misto di invidia e tenerezza lo rimprovera:
“Ma tu stai sempre a lavorà, quanno ce vai, a casa?
E lui:
“C’hai ragione pure tu, c’ho pure il cane, gli allenamenti di calcetto… la pischella che ogni tanto me vorrebbe puro vede'”…
Noto la priorità delle sue urgenze. La “pischella” farebbe bene a lasciarlo definitivamente alle cure del cane, mi sa.
Dopo la scuola decido di allungarmi fino al supermercato. Le signore della mensa mi hanno riportato all’ordine perchè ho osato contestare il menù di oggi. Avranno pensato “sta prof artistoide e presuntuosa che ne può mai capire di roba da mangiare, questa campa di poesia”. Mi torna in mente all’improvviso una scena di me bambina accanto al babbo col carrello della spesa. Un aspetto curioso del suo segno, lo Scorpione, è che molti dei rappresentanti maschili sono in assoluto i più adatti a ricoprire ruoli di accudimento, pur possedendo un feroce spirito critico e un carattere assai suscettibile. Non avrei potuto avere mamma più dolce, arguta e devota del mio babbo, per quanto mi riguarda. Secondo uno dei suoi insegnamenti vagavo nel banco frutta col naso sui meloni. A un certo punto sento una voce a campanellino alle spalle:
“Ma che fai, li odori?”
Mi giro e incontro gli occhi ardenti di Saretta, una mia alunna di terza elementare, in completa tenuta da ballerina classica con tanto di tulle e scarpe di raso dello stesso improbabile viola. Perfetta per lo shopping, insomma. “Santa pazienza”, penso. Poi vedo il nonno arrancare in lontananza e capisco tutto. Sara gli è sfuggita per raggiungermi e viste le scelte stilistiche presumo che passino molto tempo insieme. Croce dei genitori lavoratori. Altre parole paterne mi tornano alla memoria: “I bambini devono stare coi bambini, i vecchi tra di loro, gli scemi pure”… Verissimo. Alle categorie da accoppiamento aggiungerei anche gli stronzi, magari si annullano a vicenda.
“Li annuso perchè i più buoni profumano, me lo ha insegnato il mio papà, ora lo sai anche tu!”
“Ah, ok, maestra. Ci vediamo a scuola… comunque profumi pure tu!”
E corre verso il nonno, che nel frattempo mi ha riconosciuta e si avvicina pericolosamente. Gli nego ogni approccio dileguandomi all’istante. In fila alla cassa, sento dietro di me un citofono sfiatato:
“Certo che hai la calamita, per i ragazzini!”
È la collega di ginnastica, che avrà dieci anni e venti chili di meno ma sembra mia nonna. Evidentemente aveva subìto la scena e il fatto di non essere stata salutata da Sara. Mi giro, leggiadra come un cigno e rispondo:
“Ma io profumo…”
Osservo davanti a me i clienti in massa sudaticci per il caldo innaturale, desiderosi solo di andarsene a casa. Lo stesso desiderio delle cassiere affannate e affrante da quel mesto spettacolo di mesta umanità. Sopporto la fila, da cane quieto. I miei surgelati in bella mostra nel carrello. Dietro di me una bambina sugli undici anni tiene pericolosamente in braccio un singolo, gigantesco cartone di uova. Medito di lasciarla passare prima di me, stellina. Davanti ho un signore grassoccio con una spesa faraonica e una bionda sulla quarantina che a un certo punto cinguetta, candida, di aver dimenticato di prendere una cosa. La cassiera però aveva già iniziato a passare la sua spesa, e le concede di allontanarsi al volo per prendere l’articolo, con la nostra non proprio spontanea approvazione. Attendiamo con fiducia il ritorno della bionda, ma il tempo passa, passa, passa… si instaura uno scenario da incubo. Cassa bloccata, signore grasso sempre più sudato, bimba delle uova con l’aria terrorizzata, io col pensiero ai surgelati e ad epiteti irripetibili, cassiera afflitta dai sensi di colpa per la gentilezza sprecata. Rivolgiamo in coro a lei i nostri sguardi di Medusa e lei non ne può più. Si alza e corre a cercare la fuggiasca tra le corsie. La seguo, secondo il mio istinto di cane pastore. Magari in due la rintracciamo prima. La trova che passeggia leggiadra e lenta tra gli scaffali, le urla:
“Signora, ho la cassa bloccata dalla sua spesa e i clienti che aspettano!”
“Ah…mi dispiace, credevo che era andata avanti con la fila!”
Ovviamente la baronessa non azzecca neanche il tempo verbale. Però starnazza bene, l’oca giuliva. La osservo tornare verso la fila, senza un’ombra di pentimento. Inizio a contare mentalmente fino a diecimila. Fossi stata la cassiera mi sarei attaccata al microfono fornendo dati identificativi della bionda , intimandole di tornare a concludere la spesa. L’avrei sputtanata per bene, maleducata insensibile, altro che chiamarla “signora”. Forse le uova della bambina avrebbero trovato degno uso.
Serata estiva di fine cena al parco. Padre e figlio giocano a ping-pong tra urla e parolacce. L’agonismo, si sa, è così. Da buon cane mi siedo quieta, e li osservo. O meglio, faccio finta di guardare e annuso l’aria. Dietro di loro, due ragazzetti sguaiati fanno la fila ai cessi chimici. Trattengo uno sbadiglio, per noia, sonno, fame… non lo so più. Forse tutto insieme. Almeno l’aria è dolce. A un certo punto, da un palchetto lì accanto un cantante intona “La leva calcistica del ’68″… è anche bravo. Mi spunta una lacrima e assumo un’espressione ebete. Incrocio lo sguardo dei giocatori e quello degli incontinenti. Tutti mi accennano un sorriso trionfante, credendo di essere l’oggetto della mia emozione.
“Vedi, rifletto, l’importante è crederci”…