Ai miei occhiali
Era il 14 maggio 2005, era di sabato. Avevo invitato tutti i miei compagni di classe del Liceo (più qualche special guest che non era in classe con me) ad una birropizzeriaristorantino per aspettare insieme la mezzanotte. Il 15 avrei compiuto diciottanni e, anche se ero euforico (si sa, i 18 anni sono un must), ricordo tutto alla perfezione quel che successe. Ma non vi sto qui a spiegare tutti i dettagli. Vi dico subito che mi regalarono un paio di occhiali. Classici: ho sempre questa punta di vecchiaia avanzata – che potrei chiamare anche romantica, oppure nostalgica. A goccia, i Ray-Ban. Mi piacevano e li mettevo sempre, quelli non originali, che duravano l’espace d’un matin. I miei compagni di classe mi regalarono quelli, che durano, resistenti a tutto. Infatti, sono durati 8 anni. Li ho persi pochi giorni fa, penso non li ritroverò più.
Gli occhiali da sole mi piacciono perché sono scuri. Ti danno anche la possibilità di distogliere lo sguardo mentre uno ti sta parlando di qualcosa che non ti interessa più. Ti danno il potere di non far vedere ai passeggeri che ti stai addormentando, cullato dalle vibrazioni del treno (chissà se quando m’addormento in treno, russo. Mah!). Poi la commozione. Quella te la nascondono bene. E più invecchiando stai, più ti commuovi. Ai funerali è anche scontato. Meno scontato è mentre ascolti una canzone camminando per strada che attiva un ricordo che ti fa scendere qualche lacrimuccia. Anche una, basta. Così. Ed avere gli occhiali ti fa essere a casa tua, chiuso per gli affari tuoi, come se stessi ciondolando, con nessuno che pensa: “come mai quello piange, sta così o sta colì” anche se magari il pensiero si trasforma in “Non c’è un briciolo di luce e và in giro con gli occhiali. Questo è scemunito”.
Per non parlare del colore degli occhiali, il colore delle lenti. A me, per i motivi di cui sopra, piacciono scure scure. Vedrò anche il mondo un po’ più cupo ma almeno mi proteggono anche bene dal sole scherzoso. E poi basta toglierli – eh! – gli occhiali, per rivedere tutto come lo vedono gli altri. Ecco. Un esercizio che a me è servito e che servirà è questo: cercare di vedere il mondo con gli occhiali degli altri. Più scuro. O più verde, o rosso, o giallo… più colorato insomma. Meno da miopi, meno da presbiti. Cogliere i dettagli più lontani o scegliere di rimanere sfocati. Saper viaggiare col sole in faccia e non fregarsene di quel che gli altri carpiscono dagli occhi. Che poi un certo occhiale ti rende più o meno aggressivo, a pelle.
Credo però che cambiare occhiali ogni tanto serva. Sto pensando a tutto quel che ho visto schermato da quelle lenti, da quel che ci ho pensato dietro. Mi son ricordato di quel che pensavo otto anni fa, di come ragionavo. Sto pensando a quanti li hanno indossati per qualche minuto, solo per il gusto di provarli. Della serie: ogni scusa è buona per ricordare quel che è stato, enrico. Ma tanto bisogna avere radici solide, ma così elastiche da farci il giro del mondo; ed in questi anni, per fortuna, le mie si sono elasticizzate ed irrobustite allo stesso tempo. Ora mi godo un po’ di colori, nel frattempo.