Saluti
Bombilla de luz in spagnolo significa “lampadina”. Me l’ha detto una cassiera simpatica al supermercato per mettere fine al mio mimare i raggi di luce con le dita. Bombillas de luz sono le lucine luminescenti che ogni giorno mi solleticano la mente. Barcellona è piena d’interruttori.
Saluti. Vi è mai capitato di essere scoordinati nel salutare qualcuno? Sembrava stesse per darvi la mano, invece si aggiustava il ciuffo, ed ecco che tutto diventa molto goffo e la mano rimane a mezz’aria. Un bacio sulla guancia: troppo intimo, facciamo due. Tre è troppo? E perché mi tende la mano chiusa? Forse vuole fare il saluto figo dei rapper. O un baciamano.
Un mese fa abbracciavo i miei genitori, un bacio a destra e uno a sinistra, e scorrazzavo via nel piccolo aereo low cost diretto a Barcellona. Studentessa. Erasmus. In Spagna. Esiste cliché più sputtanato? Non credo.
Ma pare che quando una cosa sia così out diventi addirittura in, di diritto. Quindi non ho perso la faccia, o almeno non ancora. La voglia di volar via dal caro stivale cova in ogni giovane, lo sappiamo, eppure devo dirvi che l’eccitazione e l’euforia – primedonne durante i tre mesi antecedenti la partenza– se la giocano con una paura viscerale di perdere ogni cosa conosciuta e familiare (amici, famiglia, pasta, letto, pizza, università, caffè, lavandino). Non sarà uguale per tutti, per carità, ma cambiar vita dal lunedì al mercoledì successivo è una bella iniezione d’adrenalina.
E nonostante io sia una grande fan del carpe diem e del nothing is impossible, ammetto che molto probabilmente c’è un momento della vita di ognuno nel quale partire sia davvero la cosa più giusta da fare.
È molto carino pensare: “in futuro cambio città, me ne vado all’estero, trovo un lavoro, cambio aria, la vita è bella”, ma sono un po’ meno carini i prezzi degli aerei-sardina che mutano ogni ora, gli affitti alle stelle e soprattutto l’idea di fare i conti con la propria personalissima paura/voglia del buio.
Comunque, cari amici, io penso che abbiano ragione i bigliettini dentro le cialde-biscotto che ti portano dopo il conto quando mangi al ristorante cinese, per esempio: “You are going to make a nice trip” (chissà cosa c’era nel riso alla cantonese), “Tonight you should phone a friend” (chiamare gli amici non fa mai male, se poi ce lo dice lui..), ma soprattutto: “Something amazing in going to happen, if you let it free”. Non vi arrabbiate con chi ha tradotto in inglese, probabilmente si tratta di google translate, mirate invece al contenuto che è il nocciolo della questione (tra l’altro sono abbastanza convinta che la traduzione in tedesco sull’altro lato della strisciolina di carta sia perfino peggiore).
Let it free, sta tutto nel tuffo, nell’essere consapevoli di sé e delle possibilità del mondo. Qualcosa di magnifico accadrà di sicuro, ma non dimenticate l’attitudine sbrilluccicante; bisogna essere raggianti di positività. Solo allora, come in un domino, i soldi e le caramelle ─ o semplicemente la felicità ─ si faranno strada uno dopo l’altro, una tessera dopo l’altra; da cosa nasce cosa, usiamo le tessere come mattoni, e impiliamole a forma di castello!
Ho sempre pensato che la parte migliore di ogni viaggio siano i passanti, le persone che incontri e che come da uno specchio ti lasciano intravedere per poco il loro universo: modi di cucinare, di vivere, di parlare, a che ora vanno a letto o come passano un compleanno. Bene, in meno di un mese a Barcellona ho parlato con così tanti sconosciuti che sento la mia testa come implosa per il numero di “portali umani” nel quale ogni conversazione guarnita di accento diverso mi ha risucchiato.
È incredibile preparare una cena insieme a cinque esponenti di nazionalità diverse nella stessa striminzita cucina d’appartamento. Fa pensare; molto più di quanto farebbe un libro. La velocità della preparazione, gli ingredienti considerati imprescindibilmente reperibili, le spezie differenti, le norme igieniche, i modi diversi per dargli un nome. La diatriba su quale vino l’accompagni meglio. E poi ricordare di essere studenti squattrinati e accontentarsi di una bottiglia di tinto del pakistano sotto casa.
Ad ogni modo, il risultato “intruglio cosmopolita” è garantito! E sa di nuovo.
Amici, in questa rubrica vi racconterò del bizzarro paradosso spagnolo Fiesta-siesta (fanno fiesta ogni giorno, ma ogni notte le strade vengono puntigliosamente ripulite), degli anfratti della città, dei miscugli culturali nei quali incapperò, dei paragoni fra giovani italiani e non, dei piatti, delle usanze simpatiche che origlierò, dei nastri visibili e non che si imbastiscono fra le tante persone che passano, vivono, amano o si innamorano in una città vibrante come Barcellona. E non risparmierò rivelazioni scabrose sulla vera vita da giovane europeo in Erasmus. Sì, è vero, la birra è la pietanza forte della sua dieta, rivolge la parola a chiunque come non ha mai fatto prima, si veste con noncuranza, non pulisce mai il frigo e mette in scena flirt con stranieri/e per quel nonsoché di esotico che è sempre così eccitante da sfondare ogni barriera linguistica.
Ah, per la cronaca, in Spagna ci si saluta baciando le entrambe le guance, ma prima la sinistra, e senza dare la mano (non siamo mica uomini d’affari!). Ma puntualmente la forza dell’abitudine mi fa procedere all’italiana, trovandomi in una di quelle situazioni che vi dicevo, con labbra, mani e guance a mezzaria e senza bussola. Però questa è una di quelle sottigliezze che portano l’aroma di esotico in bocca, e che non avrei mai potuto sperimentare sulle mie guance, se non viaggiando.
Quindi ecco, mi butto; e il mio bigliettino della fortuna recitava: “Get ready! Life would be just great”.
Super bonito!