Senza parole
L’abitudine a sviscerare le parole, metterle insieme, pesarle, tagliarle, cucirle, alla ricerca della misura giusta. Una lenza che pesca in profondità e riporta su elementi senza forma che richiedono parole per assumerne una. Tentare di dipingere la realtà dentro e fuori. Con le parole tentare, a volte riuscire, di spiegare la tua anima al mondo, e il mondo alla tua anima. Tentare di fare di tante note singole e stonate, un’armonia comprensibile e dolce.
E poi ritrovarsi senza parole. Spiazzati, come se mancasse anche l’appiglio di sempre, l’ancora di salvataggio, la spia luminosa di un faro lontano nel buio della notte, in mezzo al mare.
Tentare di fare di tante note singole e stonate, un’armonia comprensibile e dolce
Arriva, prima o poi, per tutti, il tempo in cui non ci sono parole che servano a nessuno. Quello in cui comprimere tutto e lasciar decantare. Dopo che tante parole hanno tentato di definire l’indefinibile, con la rincorsa a quelle giuste che era un incedere a tentoni, pieno di cadute ricorrenti e ansie di sbagliare, di non essere capiti, di sprecare tutto. E infatti, puntualmente, alla fine sprecare tutto.
Capire e farsi capire. Ma alla fine non è la comprensione ad essere mancata: è il tempo che frega. Gli incastri che come tessere di un mosaico si sono sfiorati ma si sono mancati per un niente, non si sono trovati nel posto giusto al momento giusto per combaciare perfettamente.
Senza parole. Quando in un attimo sei al di qua o al di là della linea sottile su cui tentiamo di stare in equilibrio. E sei vittima e sei carnefice, e rincorri, e poi ti fermi, e poi ti rincorrono ma tu non ci sei più. O forse no: ci sei ancora, ma qualcosa in te si è incrinata e ha incrinato la perfezione potenziale che aveva abbagliato la vista. Le ali, spiegate nel momento sbagliato, erano di cera e si sono sciolte al sole.
Senza parole, per i sorrisi che hai cercato e donato, per le emozioni, per le ferite, per tutta la passione, per lo sforzo di onestà a qualsiasi costo, per guardarsi indietro e guardare avanti e sapere di essere sempre trasparente e mai opaco, a testa alta. Ma con un magone dentro che non hai più parole per tentare di spiegare.
Senza parole, quando l’unica frase fatta e sciocca che ti sovviene sono quelle tre parole che hai sempre detestato: è andata così. È la realtà, ma allora è meglio tacere.
Senza parole. Nemmeno per prendersela con qualcuno. Sembra assurdo, ma quasi preferivi quando le scelte erano obbligate, l’unico spazio di manovra era accettare e andare avanti.
Senza parole, per non essere costretto a dire a te stesso che ti schiaccia le spalle il peso delle scelte che fai e non che subisci. E che non ti serve neppure la consapevolezza che è proprio lì che si demarca il confine tra chi affronta la realtà e si assume la responsabilità di fare delle scelte e chi le rifugge, come un eterno fanciullino fuori tempo massimo per restare tale.
un ingranaggio che non si comprende mai davvero. Destino, casualità, nulla, tutto
Senza parole. Solo immagini. Fotogrammi, scene di una vita vissuta o solo attesa e pensata, a tratti desiderata e poi svanita, in un clic strano di un ingranaggio che non si comprende mai davvero. Destino, casualità, nulla, tutto.
Senza parole, di fronte alla delusione, al dolore, al disincanto di sogni infranti. I tuoi, che puoi, vuoi, sopportare, ma con quelli che pur non volendo causi a chi vuoi bene è molto più complicato. E non ci sono soluzioni, analgesici, rimedi magici, quando nemmeno il salvifico potere di un lungo abbraccio può soccorrere e soccorrerti.
Senza parole, sì, come quella vecchia canzone di Vasco, e pazienza se non lo hai mai amato: e va bene così, senza parole…