Elisa vuol dormire, in un fruscio di foglie come brulicare di formiche
Il suono giusto era il fruscio delle foglie. Quando si sentiva confusa, era quello il sottofondo più adatto.
Le pareva – o meglio adorava fantasticare – che le foglie, d’un tratto, si trasformassero in operose formichine.
Ciascuna formica avrebbe avuto la buona intenzione e volontà di caricarsi sulle spalle un neurone portatore malsano di malinconia, anche se più grande del suo stesso corpo, e trasportarlo nella giusta posizione in un qualche cunicolo sotterraneo e fresco.
Sono fatte così le formiche: la loro forza è inconsapevole ma istintivamente caparbia. E quasi sempre ricominciano. Quindi avrebbero potuto pian piano portar via tutti i pezzetti di zavorrati e stanchissimi pensieri.
Le foglie in sé invece apparivano abbastanza più remissive e fataliste, e comunque non sarebbero mai state in una fila così organizzata ed ordinata, come invece sapevano ed usavano fare le formiche.
Il soffio del vento stava comunque aumentando e sospingendo le foglie fin troppo nervosamente e forse, a quel punto, Elisa avrebbe preferito stare davanti al mare.
La situazione era assurda proprio per questo, perché non c’era alcun mare. Dalla sua prospettiva non vedeva orizzonti lunghi e liberi, né spaziose spiagge dai mille toni dorati ma solo uno stretto scorcio d’albero a far capolino dall’angolo della finestra.
Doveva essere bello uscire, stare là fuori… Certo non quanto amare, ma comunque molto bello. Ad Elisa però non sarebbe più interessato nulla, almeno per le prossime ventiquattro ore. Né uscire né amare.
Aveva mangiato e bevuto a sufficienza, ed era andata al bagno. Era pronta. Si era già assicurata di aver avvisato le sole due persone al mondo che avrebbero potuto cercarla, affrettandosi a chiarire, prima di possibili domande, che Sì, andava tutto bene. Il che voleva dire che fino all’indomani di sicuro nessuno l’avrebbe chiamata.
Aveva poi raccolto tutti i cuscini presenti in casa e li aveva sparsi per il letto in un modo talmente disordinato che le formiche non lo avrebbero mai sopportato. Lei invece ci si trovava perfettamente in sintonia, e si sarebbe spalmata su quel disordine a braccia e gambe aperte, per poi trovare l’incastro giusto di ogni centimetro di corpo su quell’immenso materasso – purtroppo o per fortuna – solo suo.
Non era stanca, era esausta. Non era giù di morale, era del tutto esaurita.
Ci sarebbe voluto qualcuno capace di dare baci piccolissimi sulla fronte, una presenza delicata abbastanza per fare carezzine su e giù per la schiena. Insomma, non stava mica chiedendo la luna.
Che poi si era sempre chiesta come fosse possibile essere soli pur desiderando ricevere quelle attenzioni, ma anche volendo donarle, chiaramente. Intendeva dire: com’era possibile che non ci fosse qualcuno nella sua città o in un’altra vicina che non desiderasse le stesse identiche cose? La solitudine – quella non scelta – delle persone è abbastanza inspiegabile, questo pensava.
Aveva anche ipotizzato di metter su all’angolo della sua strada una bancarella, elegante e discreta, con un cartello chiaro: ‘Abbracci e coccole’. Cercasi, offresi, scambiasi. Non sarebbe stato necessario specificare. Ripensandoci, avrebbe scritto in seconda riga: ‘Affittasi no! Vendesi men che meno. Del tutto esclusa cessione di nuda proprietà’.
Se qualcuno si fosse fermato per approfondire la conoscenza della sua offerta, senza troppe difficoltà lei avrebbe spiegato e certamente risolto i suoi problemi, tra l’altro in maniera magicamente contemporanea a quelli del (fortunato?) passante.
Era un’idea strepitosa… anzi geniale! Ma forse troppo fin originale. Si chiedeva infatti come mai non ne avesse mai vista una in giro. Temeva quindi che sarebbe stata un buco nell’acqua, un tentativo inutile. Doveva essere per forza così. Rinunciò, senza neanche provare a mettere il naso fuori di casa.
‘Casa‘: se la si poteva chiamare così, quel suo mucchio di mobili impolverati e senza un preciso stile né ordine o logica di disposizione, praticamente quasi vuoti dentro e completamente ricoperti di oggetti fuori.
Non era un luogo troppo confortevole a ben guardare, non c’erano cunicoli freschi né sufficiente spazio per le scorte di pensieri positivi necessari. Sarebbe rimasta lei, sola e solita, col suo corpo steso, i pensieri cupi e solidi, il chiaroscuro della stanza ed il telefono silenzioso.
Insomma un caos. E neanche danzante.
Inoltre, Elisa guardava ogni cosa con posata rassegnazione ed impotente disgusto. Era comunque decisa a non muovere un dito e continuava a guardare dall’angolo di finestra con l’azzurro oscurato dalle foglie in modo sapientemente rarefatto e disomogeneo.
Ormai le pareva ben chiaro che le foglie non si sarebbero mai trasformate. E comunque non in formiche. Sarebbe rimasta lei, sola e solita, col suo corpo steso, i pensieri cupi e solidi, il chiaroscuro della stanza ed il telefono silenzioso.
La sua vita e la sua stanza e la sua giornata parevano cubi di cemento, del tipo di quelli che proteggono un porto dalle mareggiate, o blocchi d’acciaio come impenetrabili cabine per immersione, a tenuta stagna.
Elisa chiuse gli occhi e, per sicurezza, indossò una mascherina da viaggio.
Nessun tentativo, nessun intento da formica. Ma neanche da cicala. E neppure da venditore ambulante.
Non sentiva nulla di tutta quella vita – che pur sapeva le stesse friggendo tra le mani – non ne avvertiva più il profumo, e neppure un prurito superficiale, e non aveva voglia di assaggiarla.
Niente di niente. Solo respiri lenti e controllati, in attesa del giorno dopo. Pensare al domani era già una cosa vagamente progettuale, dunque per lei profondamente fastidiosa. Niente di niente. Solo respiri lenti e controllati, in attesa del giorno dopo. Pensare al domani era già una cosa vagamente progettuale, dunque per lei profondamente fastidiosa.
La cosa positiva era che nessuno di tutti quelli che la conoscevano l’avrebbe cercata, perché in questo caso avrebbe dovuto darsi un tono di voce accettabile, improvvisare risposte ‘normali’ e rassicuranti. Altrimenti sarebbe stata subito sollecitata a riprendersi, ad andare a fare una passeggiata o vedere qualcuno.
Non c’è accettazione nel mondo per un quasi depresso, non c’è la necessaria empatica comprensione dello stato di solitudine-non-scelta di così tante persone, troppe, che – pensava – se lei avesse potuto avere un centesimo per ognuno che vive così… sarebbe stata ricca.
Si chiese persino se quello fosse un mestiere: ‘censitore’ dei depressi e dei solitari, peraltro erroneamente accomunati nella stessa categoria.
Finalmente a suo agio, in un protettivo e rassicurante isolamento, in un ambiente totalmente buio, contesto triste quanto basta e dunque poco rischioso, in una pace finta e forzata, Elisa infine s’addormentò.