Se mi avessero detto
Se mi avessero detto qualche tempo fa che un giorno avrei venduto lavatrici, mi sarei spanciato a lungo dalle risate.
Se mi avessero detto, ancora pochi anni fa, che un giorno avrei guardato film e partite su un telefono, che sullo stesso mezzo avrei scritto e letto racconti miei e di miei amici fraterni, oppure ascoltato musica e fatto (quasi!) tutto, li avrei presi per matti.
Se mi avessero detto pochi anni fa che la vita mi avrebbe smontato progetti, sogni, palazzi ritenuti indistruttibili e invece crollati miseramente, se mi avessero detto che un frullatore impazzito mi avrebbe rovistato dentro e fuori come su un aereo durante una turbolenza senza controllo, avrei pensato che se fosse accaduto tutto questo, allora di me sarebbero rimaste solo macerie.
Invece le macerie ci sono state, copiose; polvere, cicatrici e ferite rimangono ancora, ma oltre a tutto, in fondo a tutto, c’è ancora e sempre vita. Ancora e sempre voglia di vivere, di provare meraviglia, di fare progetti. Di cercarmi, di non trovarmi, di maturare, oppure no: mi vengo a noia da solo, mille volte, poi però mi ricarico. Ho perso molte occasioni, alcune le ho sprecate in modo forse imperdonabile, ho mille pagine scritte e buttate via, ormai rese illeggibili dall’usura del tempo e da una incauta custodia. Ma ne ho molte migliaia ancora da scrivere, o almeno, da progettare di scrivere. E poi sarà quel che sarà.
Se mi avessero detto che nell’istante esatto in cui avevo pensato di essere arrivato al punto di equilibrio e stabilità, “a metà del cammin di nostra vita“, proprio in quell’istante tutto stava cominciando a scomporsi e la via su cui camminavo e che ritenevo ampia e stabile si sarebbe rivelata invece una linea ultrasottile in balia della tempesta, avrei risposto che tutto ciò non poteva accadere. Non a me.
Ma quello che avrei pensato più improbabile di tutto sarebbe stato che di fronte a tali e tanti cambiamenti io sarei rimasto uguale a me stesso eppure diverso, che avrei avuto paura eppure non mi sarei tirato indietro, che sarei caduto mille volte e (quasi) sempre rialzato, che avrei saputo reinventarmi, non per scelta e per abilità ma perché costretto. E comunque riuscendo a vestire panni per me inediti.
Avrei detto, io che sono un pigro inguaribile e incostante come pochi, che tutto questo sarebbe stato tanto troppo faticoso per uno come me. E quindi “no, grazie, passo, avanti il prossimo”.
Invece no. La stanchezza c’è tutta, la fatica pure, il disincanto lo combatto come posso ma a volte lui si insinua lo stesso e mi toglie energie ed entusiasmo.
Ma malgrado tutto sono sempre qui, abile o maldestro, e in momenti come questo penso che non è ancora tempo di bilanci, ma che i cambiamenti che non scegli, quelli che ti cadono inattesi sul collo col rischio di spezzarlo, sono proprio quelli che ti fanno crescere di più, che ti fanno rimettere in gioco.
Venderò lavatrici, se necessario, e farò mille altre cose non pianificate in nessuna delle mie agende da ragazzo alla voce cosa farai da grande, ma ci sono, ci siamo, la ruota che gira è sempre affascinante e carica di adrenalina. Purché giri, purché non si fermi, che la fine della corsa sia ancora lontana.
Ho sempre detestato lo storytelling sui cambiamenti che fanno crescere. Mi sembravano slogan da pubblicitari, o peggio, da tagliatori di teste. E invece è vero.
La sola cosa che non mi dà pace è la mancanza di certi compagni di viaggio di una vita. Anche loro avrebbero dovuto essere attaccati alla loro ruota, e continuare a pedalare in discesa o in salita, magari con la loro bicicletta accanto alla mia.
I cambiamenti ho imparato ad accettarli e persino ad apprezzarli, le perdite definitive e irrimediabili no. Quelle no.
Le foto sono di Erika Sichera, tranne l’ultima che è presa dal web