3 – Alle cinque, a Venezia
In questi sei anni ho perso e riconquistato la persona più importante che conosco: me stesso. Nel frattempo ho perso un amore, sono andato in psicoterapia e non l’ho raccontato a nessuno, tranne che a Giovanni, che è il mio migliore amico del mondo, quello che quando nemmeno alle due del pomeriggio ti va di alzarti dal letto senti vibrare il telefono sul comodino, e sai che è lui, e lui ti bestemmia contro e ti vuole bene ma, per favore: “Alzati, cazzo, Gianluca!“, che è il momento di tirare fuori le palle e cambiare il destino. Il destino più difficile. Il tuo, appunto.
Ogni tanto ci ricasco, dentro quel limbo. Ed è qualcosa che ha un pavimento appiccicaticcio, che sai che difficilmente ti togli via dalle suole. “Devi ballare, Gianluca! Balla!” gridava Gio e io mettevo giù il telefono, aprivo la doccia e mi ci buttavo sotto, a cantare, che tanto non mi avrebbe sentito nessuno.
“Devi ballare, Gianluca, balla!” gridava Gio e io mettevo giù il telefono, aprivo la doccia e mi ci buttavo sotto, a cantare, che tanto non mi avrebbe sentito nessuno
Margherita mi disse.
Mi ha raccontato un poco di te e lei. Cose che succedono, avrei detto, e le ho detto. Ma cose che dobbiamo superare. E smettila di guardarmi le mani.
Sorrise ancora. Mi tolsi dai pensieri. “Che cosa mi hai regalato?” le dissi mentre aprivo quel regalo “La carta che hai usato per impacchettarlo è la stessa che hanno usato per impacchettare un libro che ho regalato a una persona“. Lei rimase in silenzio, non si stupì. Pensai di nuovo al vagabondo, poi ebbi voglia di baciarla. Ma non in bocca.
Era un cofanetto. Un cofanetto che aprendosi diveniva un carillon. “E che suona?”
Memory. Ricordi?
Certo che mi ricordavo. Ci eravamo incontrati a Venezia, alle cinque di un pomeriggio che sarebbe stato di acqua alta, passi e scirocco, di quei pomeriggi che sembrano essere traslati da un altro tempo. Avevamo bevuto vino bianco. Tanto vino bianco. Ad ogni ponte volevamo farci una foto. Ci stavamo abbracciando alla stazione, prima che le cadenze banali dei treni ci separassero e in quel momento passò un ragazzo con alle orecchie una cassa, di quelle bluetooth, e nella cassa passava questa canzone, una versione rap di Memory.
A Venezia faceva freddo quella sera.
Ma tu ti stavi divertendo a sguazzare nell’acqua che si alzava
Non avevo mai visto una cosa del genere.
(eg)
Finii la cioccolata. E glielo chiesi: Cos’è che ti ha stupito come l’acqua alta?
Tante cose mi hanno stupita, Gianluca. Forse la cosa che mi ha stupito più di tutte è quanto ci si possa abituare alle sorprese. Paradossale, no? È l’abitudine che mi stupisce. Non pensavo di potermi abituare a vivere senza alcuni pezzi di me stessa, senza alcune persone, ma in fin dei conti è proprio vero che ci si abitua a tutto. Tu te lo aspettavi che ci saremmo persi per tutti questi anni?
Non rispondo; ho paura di dirle che in fondo l’avevo sempre pensato che sarebbe arrivato un momento non più adatto a noi. Un momento nel quale l’intensità della nostra amicizia avrebbe storpiato l’armonia. Come un limite invisibile che si oltrepassa senza esserne troppo coscienti. Io non ci credo che si possa amare troppo, ma ripercorrendo l’avventura con Margherita, mi ricredo un po’. Ci volevamo troppo bene, e per sei anni non ci siamo rivisti.
Ho voglia di tornare indietro nel tempo, nei ricordi che con la polvere si fanno più brillanti
Non è vero che ci si abitua a tutto, Margherita: io non mi abituo mai alla mia malinconia. Mi prende sempre alla sprovvista. Quando penso che sto bene e non si ripresenterà, rieccola spuntare. Sono le cinque e siamo a Venezia con l’acqua alta. Ho voglia di tornare indietro nel tempo, nei ricordi che con la polvere si fanno più brillanti.
Certe volte mi faccio paura da solo quando penso che i sorrisi del passato saranno più belli di quelli che verranno, come se nulla potesse batterli. Lo so che è tutto nella mia testa e che i ricordi mi piacciono proprio per questo: li posso controllare, li posso addolcire, li posso plasmare all’idea più che alla realtà. Ed è proprio quello che sto facendo adesso. Perché mi guardi così, Margherita? I tuoi occhi spenti riescono a leggere la frustrazione nei miei? Vorrei riscrivere tutto daccapo.
Io non ce l’ho con te, Gianluca. Per un po’ sono stata arrabbiata a causa della relazione con Giulia. Sinceramente, avresti potuto gestire meglio le cose, ma penso tu già lo sappia. Non voglio giustificarti, ti lascio le tue responsabilità, è solo che è passato così tanto tempo… quello che prima mi sembrava imperdonabile, alla luce dei fatti della vita, non mi sembra più così grave. Ci siamo fatti grandi, no?
(cc)
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