Solitudini al telefono
Il telefono oggi non dà tregua. Non si fa in tempo a chiudere una chiamata che sobbalza nuovamente.
Pronto buongiorno, dica pure.
Buongiorno signorina. Mi scuso per il disturbo. Volevo chiederle notizie della mia prenotazione. Sono M.B.
Ora la cerco… Eccola qua, l’aveva annullata signora. E poi non l’ha più riprogrammata. Vuole farlo ora?
Santo cielo… Ecco, credevo di averlo fatto ma sa…
La riprogrammo subito.
No, ora lei mi ascolta!
E la gentile signora M.B. comincia a raccontare con una vocina esitante una storia di cui non si riconosce né il capo né la coda, e che di senso non ne ha molto. Almeno in apparenza.
Racconta di come si sia sentita poco bene (quando? Non si sa), di come non riusciva a parlare né capire, e di come in sei l’hanno portata in ospedale a forza. Un racconto confuso che non si capisce dove porti.
Capisco signora… Vuole che le riprogrammi la visita?
Mi lasci finire, per favore, le devo dire…
La storia riprende un filo invisibile, si intreccia con le parole tremanti e descrive, o ci prova, una specie di caos interiore e forse anche fisico. Fotogrammi di un marito caricato in ambulanza, con lei al seguito, di una corsa in ospedale… Altre parole da mettere insieme, un’emozione che si trasforma in pianto trattenuto nella voce incerta. Comprendi che in quella occasione il marito non ce l’ha fatta.
E io è da allora che sto così…
Ancora un salto temporale, da un passato non si sa bene quanto remoto a uno forse più recente, ma altrettanto non databile. Lei che soffre di cuore, viene portata in ospedale a fare una visita che non poteva rimandare e il figlio che chiede che le venga fatto anche almeno una ecografia cardiaca, ma gli rispondono che no, senza appuntamento non si può. Povero figlio, che la vedeva stare male, ci aveva provato, ma non era riuscito…
Così, mi sembra di capire nel fiume di parole un po’ sconnesse, in qualche modo la visita di cui si interessa ora era saltata, perché stava troppo male per farla. Perché è tutto giusto, ma lei proprio non se la sentiva da quando…
Da quanto tempo sarà morto suo marito? Quante volte per lo stress si è sentita male? Da quant’è che fa i conti con un’anima straziata fino a trascurare i propri malesseri fisici? Ha detto di avere dei figli, ma non bastano se tu per prima non vuoi, o non sai, prenderti cura di te stessa.
Il dolore che fa tremare la voce è ancora vivo, non riesco a capire quanto la perdita del marito sia recente, né riesco a chiederle niente, perché l’urgenza di raccontare sovrasta anche un’eventuale interlocuzione. Non le serve che qualcuno le chieda cose, le serve parlare. Anche senza coerenza, anche senza un filo conduttore. Non importa se all’altro capo del telefono c’è una sconosciuta che tutto può fare per aiutare la gente, ma non è una psicologa, o una psichiatra, e nemmeno un prete in confessionale. Quanto è profonda la solitudine interiore di M.B. Che magari ha dell’affetto intorno, ma non riesce ad assimilarlo. Forse se ci trovassimo faccia a faccia non riuscirebbe a dire tutto quello che con così tanto impeto le esce ora che è al telefono. È proprio l’anonimato che incoraggia, quel nero tunnel che collega i due telefoni e che non si a chi o cosa conduca. Solitudini al telefono. Capita più spesso di quanto si possa immaginare.
l’urgenza di raccontare sovrasta anche un’eventuale interlocuzione.
La telefonata dura all’incirca un quarto d’ora. Immagino nel frattempo orde di utenti inferociti che non riescono a prendere la linea e maledicono la burocrazia, la malasanità, gli impiegati che magari mettono male apposta la cornetta per non rispondere che tanto sono pagati uguale e quant’altro. Ma come si fa a sollecitare questa povera anima a farla breve?
Alla fine si esaurisce da sola, rallenta, come un disco che arriva ad una incrinatura per poi giungere al punto di rottura.
Approfitto del varco che si è creato per chiedere di nuovo se vuole che le riprenda l’appuntamento mancato. Mi sembra una questione così fredda adesso, ma in fondo se la signora ha telefonato forse era comunque qui che voleva arrivare.
Infatti è così. Conferma tra una parola e l’altra e non mi zittisce più. Quello che doveva dire lo ha detto, anche se in qualche modo frasi un po’ sconclusionate le escono ancora, come se il cuore fosse scollegato dal cervello e ognuno andasse per conto suo.
E speriamo di stare bene signorina.
Speriamo signora M.B. Speriamo.
Foto di Sabine van Erp da Pixabay