Scampoli di Pensieri

La tristezza abita in me. Non sto male con lei. È mia compagna da sempre. Mi riconosco in lei. Riesco a dominare le sue esuberanze. Riesco perfino a colpirla a morte, quando mi assale come un nemico armato. Si nasconde ogni tanto, dietro una tenda e mi lascia sorridere… ma poi ricompare. Se sparisse per sempre, mi mancherebbe. Voglio che resti al mio fianco. Senza di lei, non avrei mai compreso la gioia.

Quella sensazione lì. Disorientamento, poi euforia, poi stanchezza, e poi di nuovo disorientamento. Quando hai perso la bussola, ma ti muovi, brancolando nel buio, poi sempre più spedito. Non sai bene dove stai andando ma senti che ti muovi. E ti prende una insana euforia. Sei fiero di te, nonostante tutto non ti sei fermato neanche stavolta, sei andato avanti comunque. Non sai bene dove, ma in movimento. Poi inizi a sentire la stanchezza, vuoi riposare. Cerchi di capire dove sei. E realizzi che ti sei mosso, sì. Ma facendo cerchi in tondo… ti sei mosso, hai faticato ma sei sempre nello stesso punto…

Siamo attratti e ammaliati da ciò che ci fa battere il cuore forte da impazzire. E istintivamente ci poniamo in modo più distaccato verso ciò che il cuore non lo sconvolge in vortici emozionali. Ma lo riscalda. Lo tiene al tepore della cura costante, della presenza discreta. Al riparo da oscillazioni rovinose e tempeste. Vogliamo il guscio protettivo intorno e poi il cielo stellato sconfinato sopra di noi. Vogliamo tutto. E tutto non si può 

So di nuovo a cosa serve, il silenzio. Serve a filtrare, a lasciar trasudare solo ciò che serve. A vagare tra le ipotesi temporeggiando fino a trovarne una che combaci con un sogno. Serve ad ascoltare. A scegliere solo le parole più coraggiose, quelle non spezzate, non implose, non incastrate. A scivolare elegantemente laddove altrimenti si sarebbe inciampati. Il silenzio serve a fluire.

Quando una lunga storia finisce, non è detto che ci sia una ragione scatenante sufficientemente valida; probabilmente, non ce n’era una sufficientemente valida quando a suo tempo nacque. Vuol dire che è un amore nato su proiezioni e fraintendimenti, su pilastri conficcati nella sabbia come “penso che cambierà”, “maturerà”, “è così ma solo perché finora non è stato/a con me”. Innamoratevi dell’essenza vera e profonda di una persona, oppure… lasciate perdere. L’essenza di una persona non cambia. Si smussano gli spigoli, si rinuncia a una parte, più o meno consistente, di egoismo, ma l’essenza non cambia. Quando, finalmente, la gente lo capisce, magari dopo anni, progetti, case, figli, crisi, terapie di coppie, ricerche di colpe da prendersi o attribuire, le storie finiscono. E si continua a cercare un perché…

Ci riempiamo la testa di parole e di suoni, gli occhi di immagini reali o sognate, ci impegniamo in cose nuove. Idealizziamo. Ci riempiamo l’anima di emozioni e se abbiamo perso qualcosa o qualcuno, reagiamo al lutto, inibiamo il dolore, lo rimuoviamo più possibile pensando che senza quel vuoto non avremmo avuto l’opportunità di un nuovo pieno. Più vero, più intenso, comunque diverso e stimolante. A volte però, a distanza di tempo, del nuovo pieno iniziamo a sentire scricchiolii sinistri che sanno di vuoto; l’incanto forse non era così perfetto, il pieno parziale. E allora tutto ciò che era rimosso riappare con un ghigno beffardo e il tempo non ha guarito ferite né riempito vuoti: ha solo confuso tutto