Scampoli di Pensieri

Come dici? Sei triste? Mancanza di che, hai freddo. Non c’e’ modo di riscaldarsi.Vieni più vicino.Non vedi che sono qui. Soltanto un bacio, sulla guancia. Aspetta, in tutto questo amore non trovo più la guancia…

Nei sentimenti tendiamo sempre, istintivamente, a stare dalla parte delle cosiddette vittime. Di chi ama ancora intensamente ma non viene più ricambiato allo stesso modo. Eppure, anche i “carnefici” non se la passano affatto bene. A volte causano la fine di un amore in cui hanno messo il meglio di se stessi, in cui hanno creduto disperatamente, come fosse il loro estremo appiglio alla vita. E alla fine non possono prendersela con nessuno. Sono condannati a portarsi dietro il peso di essere stati carnefici di quell’amore, di averlo elevato fino alle vette più alte dello Sturm Und Drang e poi di non essere stati capaci di resistere alle intemperie atmosferiche, lassù in cima. La vittima ne soffre. Il carnefice è artefice del suo stesso disincanto e della sua disillusione, esposto al rischio di perenni rimorsi e sensi di colpa: non lo invidio

Vogliamo la persona che non possiamo avere.
Puntiamo a un obiettivo che non possiamo centrare.
Desideriamo una giovinezza che non può tornare.
Inseguiamo un sogno che non si può realizzare.
Cioè vogliamo l’impossibile sapendo che non sarà possibile.
Per avere un alibi in caso di fallimento.
Per sentirci bravi se ce la facciamo.
Perché non sappiamo accontentarci delle cose facili.
Salvo poi struggerci per l’utopia.

Alba accennata in punta di pennello, la città mi accoglie assopita e silenziosa. Luci naturali ed artificiali amoreggiano, fondendosi nella tensione al miglior risultato empaticamente possibile.
Respiro profondo, assorbo un momento di rara coerenza, risveglio del mondo e mio, in cui tutte le possibilità sono vere e realizzabili. Comincio ora la mia sequenza di passi. Buone scelte a me…

La bellezza. Perché troviamo una donna bella? Perché è perfetta esteriormente? Per le misure, per il colore degli occhi, per le gambe slanciate? Ma quando mai.

Una donna è bella perché la vedi e capisci subito che non è solo vedere quello che stai facendo. E’ già immaginare. E’ già leggere il libro della sua vita senza sapere neppure come si chiama. E’ bella quando muove le leve della tua fantasia, molto oltre quello che vedi con gli occhi. Altrimenti, può essere una Dea di bellezza esteriore, ma non ti incendia l’anima. E tantomeno i sensi

Comunichiamo. Uh, quanto. Tutto un fluire di cose che vorremmo dire. Come possiamo, come sappiamo, anche tacendo, se non in altro modo. E poi le parole. Poche, tante, troppe, misurate, generose, chiare, opache. Scritte, parlate, accennate, cantate, semplici, contorte, lasciate sull’uscio senza farle uscire allo scoperto, solo intraviste; oppure, al contrario, urlate, sbattute in faccia come una porta con una folata di vento. Abbiamo paura di esporci, eppure un gran bisogno di esprimere qualcosa, con ogni mezzo. A volte crediamo di defilarci e stiamo solo tentando modi alternativi di richiamare l’attenzione. Parliamo così tanto, in ogni dove, con ogni mezzo. Ma in fondo… avremo davvero qualcosa da dire?? Perché dovrebbero ascoltarci, se ciascuno è già impegnato a parlare lui? O parliamo così tanto proprio per cercare qualcosa che non troviamo e pretendiamo che siano gli altri a trovarla in noi e mostrarcela? Io non lo so. Non lo so perché scrivo, parlo, racconto. So che cerco qualcosa, spesso non definito, dentro e fuori di me. So che comunicare mi piace, mi attrae e ne ho bisogno. Cosa abbia veramente da dire non lo so con certezza: questo è quello che so.

Stiamo tutti tentando di farcela, in un modo o l’altro, tentando di trovare l’amore, tentando di trovare il sesso, tentando di trovare un po’ di pace e un senso, prima di gettare la spugna” (Charles Bukowski). E se fosse tutta lì la chiave? Tra quel “tentando” e quel “gettare la spugna”? La vita, quella vera, non la sopravvivenza, è in quello spazio, nella capacità di allungarlo all’infinito, fino all’estremo, fino all’ultimo respiro, senza gettare la spugna, pur fallendo tutti i tentativi. Ma ogni volta ricominciare e tentare, ancora e ancora, di trovare qualcosa che sia almeno “un po’ di senso

Io ho smesso di vedere Grey’s Anatomy dopo che quella pazza assassina di Shonda Rimes ha distrutto tutti i miei sogni di bambina e le speranze di una gioia che tarda ad arrivare ma alla fine fai bene ad aspettarla perché poi te la sposi, ha dei capelli bellissimi e degli occhi blu profondissimi e fino alla sesta stagione è anche un figo da paura. Ma Shonda niente, te l’ammazza come se fosse un coniglio sull’autostrada. E ti ricorda che #maiungioia. Allora io dissi: “basta Shonda, no, devi fallire”. Però ieri non avevo niente da vedere e quindi l’ho ricominciato. E con Grey’s Anatomy funziona così: hai il rifiuto per i primi 10 minuti, poi a un certo punto senti dei ganci che non ti permettono di smettere mai più. Quelli sono i tentacoli di Shonda che fiutano l’odore delle parti del tuo essere a cui piace la sofferenza e ci si appiccicano sopra con l’attack. Ora siamo di nuovo lì, tutti insieme appassionatamente, uniti da questa dipendenza dal dolore, in uno stato di allerta costante quando per un attimo ti scappa un sorriso e ti dici: “No, non ti muovere, se se ne accorge li ammazza.

Eseguire due serie alternate, ed una comica, di proiezioni ortogonali del pensiero con maggior peso specifico, portarlo alla potenza di se stesso, considerando traiettorie e velocità relativa. Moltiplicare le risultanti per il coefficiente di resistenza soggettiva ed estrarne la radice assoluta arrotondata, anche se nata quadrata. Infine considerare l’ipotesi di errore ed approssimare per eccesso. La tesi dovrebbe essere chiara. Anche stavolta la matematica non è un’opinione. Ma quando si tratta di emozione…

‘Crederci’ dà senso alle cose. A volte, talmente le cose prendono senso che alcune persino accadono, come certe parole che prendono forma di azioni, e hanno la forza di cambiare una giornata. È la solita storia, fatta di tutti i colori del sentimento umano: siamo imperfetti, e sappiamo perciò adeguarci sempre alla dimensione di mezzo tra sogno e realtà. È proprio lì che, con pazienza, facciamo succedere le cose in cui crediamo.