Lettura n. 33 Il mio anno di riposo e oblio
La protagonista di questa storia è bella, giovane, bionda e ha ereditato dalla famiglia un appartamento nel cuore chic di New York, l’Upper East Side, è laureata in storia dell’arte e di fatto potrebbe anche non lavorare e condurre una vita in tutta comodità. Insomma in apparenza questa donna di ventisei anni avrebbe la felicità a portata di mano ma è risucchiata in un vortice. Nella sua vita prevale un senso di vuoto, una disperazione muta come quando cadiamo in un sonno confuso. Proprio il sonno diventa il tema centrale della narrazione. Durante le sue giornate di lavoro nella galleria d’arte utilizza la pausa pranzo per nascondersi in un armadio e dormire, fuggendo così dal mondo. Questo nascondersi le fa perdere il lavoro, di cui ovviamente non le importa nulla, e la fa precipitare in una depressione buia, si rivolge a uno psichiatra che le prescrive farmaci piuttosto pesanti, questi farmaci a volte la fanno cadere in uno stato di trance completa facendole dimenticare in seguito tutto quello che ha fatto. Lei non sopporta le persone e gli altri sembrano non sopportare lei, compresa la sua migliore amica, o l’artista di strada, le donne descritte da Ottessa Moshfegh sono detestabili, personalità complesse, piene di lati oscuri che a ben vedere potrebbero appartenere a ognuno di noi. Leggendo il lettore si rende conto che non vi è alcuna forma di romanticismo nel descrivere la depressione femminile eppure l’autrice riesce a rendere affascinante la narrazione di una donna che decide di dormire per un anno intero. Non ci si annoia, tutti i personaggi sono disegnati perfettamente e le relazioni fra loro hanno alti e bassi che rendono bene i contrasti. Gli psicofarmaci inducono l’ingresso nella dimensione dell’inconscio, dell’inconosciuto, divengono una porta per precipitare in un mondo altro lontano dalla dimensione esterna, questo fatto ci dà da pensare. Lo stile un po’ sopra le righe, a tratti grottesco e ironico, in altri passaggi più disperato, rende questa lettura assai originale e singolare nel panorama letterario, ci fa scomodare come lettori e ci spinge a muoverci da una zona comoda e ci porta in una nuova dimensione da esplorare, lasciandoci un po’ disorientati.
Questo mi è piaciuto. Tanto da andare a cercare un’intervista fatta all’autrice che spiega quanto la perdita del senso di comunità sia legata alla ricerca dell’oblio, una fuga che diventa un’arma a doppio taglio ma che deve portarci anche a una sorta di compassione verso chi vuole fuggire a ogni costo dalla realtà sofferta e insopportabile.