Un Erasmus in montagna
Un Erasmus in montagna.
Avete mai sentito parlare di Montserrat? (Attenzione a quella T: è muta, ma senza di lei ci staremmo riferendo a un altro luogo, un comune Valenciano)
Montserrat con la tì è sia una montagna distante circa un’ora e mezza da Barcellona, sia un’isola delle Piccole Antille nel Mar dei Caraibi.
Indovinate di quale Montserrat vi parlo oggi.
Dopo un viaggio in pullman curvoso e singhiozzante, la vista delle rocce morbidamente sinuose mi ha ricordato i castelli che le mie mani da bambina plasmavano facendo scorrere dalle dita la sabbia impastata d’acqua di mare. Non un cocuzzolo appuntito, ma arrotondato, come ci immaginiamo dovrebbero essere le punte delle forbici per bambini.
E lì, a 720 metri d’altitudine, arroccato tra una curva e l’altra, un monastero benedettino risalente al lontano 1011. Numerosi gli abati catalani e castigliani che si sono succeduti nel corso dei secoli, perfino un accompagnatore di Cristoforo Colombo (che la comunità catalana reputa catalano e non Italiano, attenzione, ve ne parlerò in un’altra Bombilla).
Tutti loro hanno protetto e venerato La Moreneta, una statua in legno della Vergine e del Bambin Gesù.
Dopo una decina di minuti in fila, ho finalmente avuto anche io la mia manciata di secondi per osservare la statua.
Tanto oro e gemme da far male agli occhi, il cioccolato ligneo del volto della Vergine mi ha dato una originale impressione esotica.
Il suo faccione poco aggraziato mi guardava da dietro uno spesso scudo trasparente dal quale fuoriusciva attraverso un foro solo la mano destra, che i pellegrini sono soliti baciare.
Rassomigliava a quei ricercatori che lavorano da dietro un vetro calzando quegli strani guanti che gli permettono manipolare il soggetto dell’esperimento senza contaminarlo (cappa a flusso laminare, mi dicono gli esperti; si chiama così). Comunque, fra le dita di questa mano un globo, simbolo dell’universo, simpaticamente interpretato da dei giovani visitatori compagni di fila come una palla per giocare a basket.
E, fatto ancora più curioso, il Bambin teneva in mano un ananas-pigna! Qui le interpretazioni sono discordanti, ma pare siano tutti d’accordo che abbia lo scopo di augurare fertilità e opulenza ai devoti.
All’uscita del monastero un vento gelido tagliava la faccia, ma i ceri dei fedeli rimanevo accesi, riparati nelle nicchie rocciose, verdi, blu, bianchi e rossi, costavano dai 2 ai 5 euro e non ho capito bene cosa influisse sulla differenziazione di prezzo.
Ah, una strana connessione tra la statua e la nostra Sardegna, a Sassari una copia ne è venerata come protettrice dei sarti.
Ma fra le cose più interessanti di Montserrat, ci sono di certo le leggende che la annebbiano nel fascinoso mistero che avvolge tutto ciò che è legato al Santo Graal.
Pare che la coppa dorata si trovi, o sia stata nascosta “nelle montagne del nord della Spagna”, che molti hanno identificato col nostro monastero di Montserrat.
Ma i catalani non ci credono, pensano che il Graal sia tuttora segretamente custodito nella cattedrale di Valencia. Chissà.
In ogni modo, il profumo di mistero l’ho avvertito, passeggiando sui mosaici e riparandomi dai capelli negli occhi. Non sono una tipa da montagna, il freddo mi fa schifo e trovo gli scarponi da trekking davvero brutti, però il cielo di Montserrat mi ha lasciato a bocca aperta.
Una miscela di zucchero filato al gusto puffo, fragola e vaniglia che si sbrogliava e si arrotolava nell’infinito cielo senza ostacoli.
Un sole caldo sulla pelle e freddo sulle rocce.
L’aria pulita che riempiva i polmoni da fumatrice di speranze di vita migliore e puro ossigeno.
E il suo silenzio che mi ha placato la giornata. Una serenità forte infusa dalla natura, genuina.
Immagino che dopo settimane della più caotica e sporca Barcellona nella quale mi sono impastata anima e corpo, una dose di arroccata Montserrat sia stato un toccasana. E pareva proprio di tenerla sottocchio la città da lì, quasi come se la si dominasse per intera. Barcellona in una mano, in un’occhiata sola.
Quei benedettini ne sanno una più del diablo!