Il tesoro di Pescador Island
Distretto di Moalboal, Isola di Cebu, Filippine.
Il mare è calmo nonostante il grigio cielo che carico di pioggia mi pesa sulla testa.
La piccola lancia a bilanciere tipica di questa regione del sud est asiatico , scivola sull’acqua borbottando con il suo piccolo motore a scoppio. “Sorriso d’oriente II”, così si chiama. Il nome è di buon auspicio.
Piano piano lasciamo le poco profonde acque del Reef costiero di Moalboal per entrare nel canale che separa l’isola madre di Cebu da quella di Negros.
Pescador Island sta lì, proprio nel mezzo, un piccolo isolotto di origine calcarea ricoperto da una bassa vegetazione tropicale. Nessuna spiaggia la circonda, niente sabbia bianca ad offrire approdo, solo nuda roccia giallastra erosa dal mare.
Mi hanno parlato di un tesoro custodito in queste acque. Tanti pezzi d’argento da riempire un bastimento!
Mi sento come al primo giorno di scuola: felice per la nuova esperienza ma al tempo stesso inquieta. Non so cosa mi aspetta. Guardo l’attrezzatura fotografica: controllo le luci, i cavi , le guarnizioni, e il grande oblò che custodisce l’obiettivo 16 mm. Sorrido pensando che per una volta tanto ho fatto bene a mettere in valigia tutti gli obiettivi che potevo. E’ strano non sentirsi derubata dalla compagnia aerea per l’esorbitante cifra che mi han fatto pagare per extra bagaglio! Dopo mezz’ora circa di navigazione, l’acqua si fa bassa intorno all’isola. Piccole piroghe di legno troneggiate da un pescatore sono ormeggiate in ordine sparso: chi getta una rete, chi la raccoglie… sono tutti indaffarati. Se c’è pesce per loro, c’è n’è anche per me! Buon segno: qualche scatto interessante è assicurato.
Torniamo al tesoro: pezzi d’argento. C’è chi dice 7 milioni chi 9 , Dio solo sa come han fatto a contarli. “Dov’è il tesoro?” chiedo alla mia guida. Lui alza le spalle e mi risponde: “non lo so, si sposta sempre”. Lo guardo con ironico distacco, temo che si tratti di una bufala.
Non mi resta che tuffarmi in acqua e iniziare a cercare. L’acqua calda è torbida e il cielo coperto non favorisce l’impresa, ma in un mare tropicale, per noi fotografi subacquei “mediterranei”, c’è sempre abbastanza luce.
La barriera corallina dai 10 metri in giù è florida e viva, moltissimi coralli molli ondeggiano nella corrente. Adoro fare immersioni in corrente, soprattutto quando non vi devo nuotare contro. Pescador Island non è molto grande e il reef che la circonda è una caduta continua verso il fondale che a gradoni sprofonda verso l’abisso. In caso di corrente ci si lascia trasportare, non vi è mai pericolo di perdersi o di trovarsi sparati in mezzo all’oceano come nelle pass maldiviane!
Nonostante io sia qui per cercare milioni di pezzi d’argento non riesco a focalizzare l’attenzione sull’obbiettivo della spedizione. La barriera corallina nella morbida luce diffusa è un luogo di pace. La mia anima è in paradiso. Anche la ricerca dello scatto fotografico è pacata, serena. La passione che muove l’estro artistico è caldamente placida. Tutto si manifesta con naturalezza: enormi spugne, di un bel color magenta sono disposte con buon gusto da madre natura. Piccoli Anthias, pesci rossi con una bella pinna elegante, sembrano svolazzare tra i coralli come farfalle sui fiori.
Che bello perdersi in questo oceano che si fa grembo materno, mi sento a casa cullata dalla mia quotidianità!
Ogni creatura ha il suo spazio, il suo ruolo, nella comunità del reef, quale sarà il mio? Con rammarico, constato di essere solo un ospite, più o meno tollerato. Mi comporto con rispetto e chiedo permesso quando decido di fotografare una bella tartaruga che sgranocchia una madrepora gigante per mangiarne i polipi contenuti al suo interno.
Non penso più ai “pezzi d’argento”, io il mio tesoro l’ho già trovato, non sono mai stata una persona venale!
Le immersioni nelle acque delle Filippine sono famose per gli scatti in “macro” , ovvero fotografie ravvicinate di piccoli soggetti in proporzioni 1:1 o maggiori. “Critters” chiamiamo noi fotografi queste piccole creature, perché si mimetizzano alla perfezione con l’ambiente che le ospita. Di solito sono difficili da trovare e vedere, a questo servono le guide filippine dagli occhi di falco subacquei. Oggi che non ho montato in camera l’obiettivo fotografico adatto per questi scatti riesco a vederli pure io! Poco importa, una cosa che ho imparato in tanti anni di immersioni e fotografia è l’arte di arrangiarsi come si può.
Sono alle prese con un piccolo pesce pagliaccio nel suo anemone ( Sesto continente – Vi presento Nemo) che si presta a un primo piano interessante, quando la luce ambiente cala drasticamente, anzi direi che si fa buio. Schiacciata sul fondo, quasi intimorita mi ritrovo in mezzo a un tifone tropicale, che ronza , sfreccia. Lampi di luce, piccoli occhi, pinne scure, una massa compatta che mi evita aprendosi e richiudendosi alle mie spalle. Milioni di pezzi d’argento in movimento: sardine. Il tesoro ha trovato me.
Non penso a niente, mi accodo, entro nel banco. Non sono l’ultima, milioni davanti a me e altrettanti dietro. Mi godo l’eccitazione dell’unione, ho il sapore dell’adrenalina in bocca. Incredibile, l’acqua si è fatta pesce e nemmeno uno mi sfiora!
Tutta questa frenesia è travolgente: ho perso l’orientamento, non so più se vado a nord o a sud, a est o a ovest. Diventa difficile mantenere la quota, cosa molto importante per un subacqueo! Tutto è pesce sopra e sotto di me, sono ubriaca. Il tempo scorre lento, fortunatamente le sardine si muovono nei primi 10 metri d’acqua, ho tempo e aria sufficienti per scattare foto. Finalmente un barlume di razionalità mi dà una scossa al cervello, e inizio a lavorare. Senza una modella subacquea che faccia aprire il “pinnato” battaglione creando giochi di forme, diventa difficile dare un senso a tutta questa compagine di pesce. Ancora una volta l’arte di arrangiarsi torna in mio aiuto. Mi appiattisco sul fondo in prossimità di spunti interessanti come quelle spugne a botte che crescono qua e la: il branco mi viene incontro. Appena si portano a tiro di scatto mi alzo all’improvviso, facendo scompiglio nella massa che prontamente a scopo difensivo si riunisce immediatamente, creando disegni neri su uno sfondo blu-verde più o meno contrastato. Loro si spostano: mi sposto anch’io! Passata una sporgenza (corner, come lo si chiama in gergo) la corrente mi porta via, viaggio con macchina fotografica e accessori vari in un canale di pesce, sembra di essere in autostrada!
Non ho la più pallida idea di dove mi trovo. Più di un’ora è passata dall’inizio dell’immersione. Ho sforato i tempi.
Temo che in barca inizino a preoccuparsi. Terminate le procedure di sicurezza, riemergo. Sgrano gli occhi e quasi grido: “dove sono tutti?”. Nessuna barca in vista. Scruto l’orizzonte, una lancia punta verso il mare aperto, mi pare di leggere “Sorriso d’Oriente II”. Panico: non posso credere che mi stiano lasciando qui. Mi sbraccio, faccio segnalazioni. Qualcuno in un’inglese quasi perfetto mi chiede: “vuoi un passaggio?” Mi volto di scatto, non ho sentito nessuna barca avvicinarsi: un pescatore su di una piroga di legno mi guarda divertito. Sembrava pensare: “turista fai da te? Aiaiaiaiai!”. Una sonora risata di gruppo mi sorprende ancor più dell’arrivo del pescatore: alle mie spalle la “Sorriso d’Oriente II” è venuta a prendermi.