Maestra, insegnami la musica
Quando sono venuto conoscenza dell’esistenza dei licei musicali un po’ mi sono mangiato le mani. Ho fatto lo scientifico perché ci andavano i miei cugini, i miei amici, perché avevo il passaggio in auto, perché il greco non faceva per me; studiavo poco o nulla, non prendevo quasi mai l’assegno, a volte uscivo di casa senza cartella, quaderni o libri, e ai professori indisposti per il mio atteggiamento menefreghista rispondevo che tanto l’Università non l’avrei fatta: sarei andato al Conservatorio, perché era la musica la mia strada.
Le nozioni apprese al liceo hanno avuto la sola utilità di non farmi atrofizzare il cervello mentre aspettavo di occuparlo con qualcosa di interessante.
Ma si sa, quando ormai abbiamo scelto una strada può capitare che le altre, lasciate alle spalle, ci sembrino più larghe e più luminose di quanto non lo siano in realtà. Tralasciando che un liceo musicale dalle mie parti neanche esiste, chi mi dice che avrei avuto bravi professori? Se c’è una cosa che ho imparato, e che insegnerei ai miei figli, è che si possono preferire delle materie, ma non esistono materie brutte, solo professori che non sanno stimolare il tuo interesse. Al terzo anno di liceo sono passato da avere quattro a sette in latino, e a parte un mese di ripetizioni, che fanno la differenza fino ad un certo punto, l’unica cosa che era cambiata era la professoressa.
L’esempio più lampante, però, di quanto possa fare la differenza un cattivo insegnante lo pesco da un’esperienza fatta alle scuole medie: la mia insufficienza in musica. Ne sapevo più di tutti i miei compagni, suonavo già il pianoforte, non avevo un comportamento irrispettoso, eppure collezionavo voti bassissimi. La cosa mi deprimeva non poco, soprattutto perché in tre anni quella megera con la parrucca non ci ha mai toccare uno strumento musicale. Tutte le altre classi si divertivano con diamoniche, flauti, canzoni, e noi a studiare solo storia della musica. Che poi per la professoressa Čajkovskij non era russo. Ad ogni modo un bel giorno, per scrivere un lieto fine, la giustizia divina fece il suo corso: la professoressa si assentò per diversi mesi, e fu sostituita da una supplente. Quei giorni me li ricordo come se fossero appena trascorsi, la supplente incredula del fatto che non avevamo mai toccato uno strumento mi fece portare la tastiera a scuola e cantammo e suonammo diverse volte.
Vorrei chiudere con un altro ricordo, indelebile, che è quello del progetto pomeridiano del liceo con il maestro Vito Russo, scomparso proprio in questi giorni. L’esperienza e la pazienza che aveva con i ragazzi sono cose che chi ci ha avuto a che fare, sono certo, se le porta ancora dentro. Alla sua memoria voglio dedicare questo pezzo, che neanche mi piace, ma che conosco a memoria, perché per lui era un pezzone.
In copertina, i ragazzi della terza M del Liceo “Carlo Sigonio” di Modena.