Fornario: tre famiglie che potrebbero essere (altrove)
Suona come un noir rocambolesco, quello de “La Banda della culla”, di Francesca Fornario.
La trama sembra studiata per far sì che ogni dettaglio abbia un suo specifico ruolo nell’intreccio, l’ironia sottile si infila anche là dove non ci si aspetta che, nel giro di una o due righe, l’autrice riesca a strappare un sorriso.
Sorriso amaro, però, perché quello della Fornario non è semplice umorismo ma comprende la malinconica ma battagliera analisi della più profonda ironia: ci sono allusioni, riferimenti astuti in una prosa che usa la storia di tre coppie per fare un ritratto dell’attuale Italia, dilaniata fra precariato e un sistema di leggi arcaico, complesso e contraddittorio.
Un Paese in cui si vive in nero, affittando casa in nero, e si muore in nero, sul lavoro. In cui talentuosi giovani finiscono a lavorare in friggitoria e in riviste di gossip, in cui lo spirito di adattamento è svilito in un misero adattamento al disagio perenne ( “ sono sempre a disagio ma mi adatto a vivere con il disagio, è questo il segreto.” ). In cui, seppur con malinconia, bisogna rinunciare all’utopia di ribaltare il sistema.
Ed è così che Francesco, giovanissimo, quando si rende conto che a breve sarà padre di famiglia afferma alla compagna, Giulia: “Sono pronto. Tranne che per i soldi, il lavoro, la casa e queste cose qui, ma per il resto sono pronto.”. E ancora, si trova a dare l’addio ufficiale alla realtà ribelle della ciclofficina occupata: ““Sì, la-mobilità-prigioniera-delle-logiche-di-potere-del-petrolio-che-alimentano-il-consumismo-e-provocano-solo-guerra-inquinamento-sfruttamento-delle-risorse-naturali, certo, peccato che sto per diventare padre, Angie. Non c’ho più tempo di combattere il sistema. Fate voi, io mi ritiro. Fatevi l’autogestione, lo scambio di buone pratiche, la democrazia diretta, il rifiuto delle gerarchie e delle deleghe, le torte rustiche vegane di kamut cotte al forno con la pasta madre. Perché io ora devo lavorare a nero la domenica per un cazzo di capitalista cinese che vende sottomarche della Coca-Cola per procurarmi i soldi per il nido.”
Disposti a tutto pur di mettere su famiglia, sei giovani si scontrano con impedimenti ripetuti, con scandali verosimili e corruzione e fuga di cervelli. Perché la soluzione a tutto pare sia la fuga dalla madre terra, senza guardarsi indietro.
Le storie di Giulia e Miguel, Claudia e Francesco, Camilla e Veronica, inizialmente distinte, confluiscono e la narrazione di sei vite si alterna a monologhi interiori con Dio, rimproverato per aver donato alla donna due scomode borracce invece che un organo magico che si alza con la sola forza del pensiero. Si sorride -ma sempre con un velo di amarezza- leggendo i tentativi di discorso che Francesco abbozza nella mente per confessare alla mamma che sta per essere padre: il ragazzo conclude immaginando la soluzione più rapida, ovvero cambiandole l’appellativo, “ciao nonna”.
Si sorride quando Veronica, imbarazzata, deve parlare della sua nota omosessualità.
“ – A quanti anni sei diventata lesbica?
– In che senso?
– A quanti anni sei andata per la prima volta con una donna.
– E tu?
– Quindici anni. E mezzo.
– Quindi sei diventato eterosessuale a quindici anni e mezzo?”
Ma il sorriso va via, perché la stessa Veronica, radical chic di buona famiglia, racconta di essere più volte stata cacciata dai bar perché teneva per mano la compagna Camilla.
E torna quando si sentono le ragazze argomentare circa l’incoerenza di un testo sacro che è preso alla lettera quando si tratta di condannare gli omosessuali ma non quando prescrive di non carezzare i gatti, tanto cari invece a Papa Francesco, che proprio con i felini è ritratto in fotografia.
Dal momento in cui le tre vicende si intrecciano, il ritmo è accelerato fino all’inverosimile, il lettore chiamato all’attenzione continua, fra matrimoni nei CIE e matrimoni secondo la tradizione tirolese, tanto che alla fine quasi non si fa più caso alla strana alchimia che lega queste sei vite che, in fondo, si sono semplicemente incrociate nella sala d’attesa di una ginecologa.
C’è chi ha i soldi ma non i diritti, chi non ha diritti né soldi, chi non ha i requisiti fisici adatti. Diventare genitori sembra impossibile. Eppure, questi ragazzi sono tutti “pronti”. A parte i soldi, il lavoro, la casa, a parte tutte le cose che regolano lo standard di quella che si considera la famiglia tradizionale. E allora, la loro determinazione li porta spesso a restare pronti, sì, ma per fuggire fuori dai confini nazionali.
Vicenda amara raccontata con il sorriso, fra tinte noir e siparietti da far ridere il lettore a voce alta, il romanzo della Fornario si divora nonostante le 320 pagine. E se la storia a tratti sembra un po’ calcata, le verità che essa contiene sono amaramente note a tutti. E tanto basta per coinvolgere il lettore dall’inizio alla fine.