Il Tabarro mantello dell’anima
Mi dicevi “tutti quanti portiamo un tabarro che nasconde qualche volta una gioia, qualche volta un dolor”.
E avvolgendola nel Tabarro Michele marito tradito e disperato uccide l’amante di Giorgetta! Queste le ultime frasi e l’ultima scena di “Il tabarro” di Giacomo Puccini. Melodramma verista in un atto che fa parte del trittico con Suor Angelica e Gianni Schicchi.
Giacomo Puccini intorno al 1910 pensò di comporre una trilogia che si ispirasse alla Divina Commedia: il primo atto rappresenta l’inferno; il secondo, con Suor Angelica, è il purgatorio dell’anima tra realtà e vocazione; il terzo allegro e spensierato simboleggia il Paradiso dantesco.
Breve l’intreccio e i luoghi della scena del Tabarro: un barcone al molo della Senna, una coppia che vive il dramma di un amore finito perché attraversato dal dolore e una donna, Giorgetta, divisa tra il ricordo di un amore e la passione per Luigi. La miseria dei sobborghi parigini alle sponde del fiume si intreccia alla disperazione di una donna che ha perso, insieme al figlio, l’amore nei confronti del marito ma cerca se stessa attraverso la passione per il bel Luigi. Con lui vuole fuggire da tutto, dalla miseria morale del Tinca e del Talpa e dall’ oscurità.
Il protagonista è Michele avvolto nel suo tabarro, un tempo simbolo del calore familiare adesso mezzo per nascondere la sua anima. In realtà il dramma di Michele innamorato e tradito si confonde con l’inquietudine della donna. Ancora una volta Giacomo Puccini mette in primo piano e descrive magistralmente l’animo femminile.
“Come è difficile esser felici”
”la pace è nella morte!”
In queste parole la sintesi del dramma. Amore, ricordi di un tempo felice e ancora amore e passione nell’oscurità. Sofferenza di un amore finito e sofferenza per un amore nascosto. Soltanto amore. Forse l’unico sentimento dell’uomo che fa da propulsore ad ogni azione. Si vive per amare e si muore amando. Amore passionale e fedifrago, amore rinnegato e amore non corrisposto, tutto nel cuore dell’essere umano e nella musica pucciniana.
Ho visto Il Tabarro e Alberto Mastromarino avvolge con la sua possente presenza e con la sua calda voce Giorgetta in un abbraccio di morte. Nel suo canto tutta la passione di un animo che conosce l’amore e la sofferenza fino al “Sol” del finale che riempie il teatro e che risuona come un grido disperato. Intenso e “verista” come la musica di Puccini in questa trilogia.