Materia celeste o Del proteiforme amore
Quando Proteo si accorse di essere inseguito e del pericolo che si nascondeva tra le onde greche del suo mare pieno di dei, decise di mutare forma ad ogni fuga ed evitare così di essere catturato. Amore è come quella divinità marina: per sempre in fuga, concentrato a divenire altro sempre.
Il giorno che ebbi tra le mani questa materia celeste, non mi ero accorto subito di avere scritto come se stessi rivolgendomi all’amore proteiforme. Poi me ne sono accorto.
Me ne sono accorto perchè ho notato di aver declinato sia al maschile che al femminile la mia dichiarazione. Me ne sono accorto perchè sapevo bene di chi si trattava in questa pagina, quando sono nate queste parole, eppure sono nate così come se stessi inseguendo insieme persone o realtà diverse e in fuga.
Lascio perciò l’intera sostanza di quello che avevo scritto modificando solo qualche dettaglio e trascrivendo esattamente tutto il resto.
Scivola via breve la notte, mentre scruto tra cordiali lande i tratti desolati del mio viaggio e li vedo finalmente trasparenti: si aprono a un tratto nascosti desideri, alcune briciole di vita e poco più. Racimolo la giovinezza che rimane, istanti brevi di esuberante frustrazione e qualche linea di tenero dolore, appena sopra quella della febbre. Trascinato dentro questo gorgo trovo un po’ di desiderio delle stelle. Mille raggi di ghiaccio luminoso mi attraversano. Provo a stare steso comodo sopra un mantello di ombra fiammeggiante.
Il giorno che ebbi tra le mani questa materia celeste, non mi ero accorto subito di avere scritto come se stessi rivolgendomi al proteiforme amore.
Se tornerai, in qualche modo, dentro questa vita, soltanto a riscoprire che sono ancora qui e non mi accorgo più che già mi sei fuggita, se tornerai e non ti rivedrò perché poco impegnato, se perderò il tuo sorriso e il tuo bacio perché impegnato in altro, perché distratto da turbolenze irrilevanti, se al tuo sguardo non volgerò i miei occhi per osservare dentro i tuoi occhi il cielo, se il tuo segreto mi fuggirà, queste impercettibili bugie avranno avuto il loro corso.
Avranno detto che non ti conoscevo e non sapevo bene dove andavo. Che tutto, in realtà, sembrava trasparente ed era cieco ed era opaco.
Che tu mi eri nascosto, che io non ti volevo, che, in fin dei conti, ancora chi mai ti ha veramente conosciuto? Chi anche – almeno un poco – amato?
Se tornerai, in qualche modo, dentro questa vita, soltanto a riscoprire che sono ancora qui e non mi accorgo più che già mi sei fuggita.
Nessuno avrebbe avuto da ridire. Nessuno che fosse stato onesto mi avrebbe condannato. E infatti nessuno mi condanna se non io, neanche tu.
Ad essere scomparso, volato via in un soffio, dentro quel buio, sei stato tu – non certo io. Io sono ancora qui, rimasto dove mi hai lasciato e sono solo.
La maschera che mi ricopre non è falsa. È una persona che conosco poco e vive ancora. Ma non vorrebbe più e questo è ovvio.
Che tu mi eri nascosto, che io non ti volevo, che, in fin dei conti, ancora chi mai ti ha veramente conosciuto? Chi anche – almeno un poco – amato?
Sei andato via e il tuo ritorno non è breve. La cosa mi confonde e non di poco.
Capace come è di amplificare il tempo che rimane, questo dolore non mi restituisce altro che desideri da fuggire, stanche immagini di pianti e di benedizioni, abbracci teneri di fede e di sapienza inaridita e luminosa, saporita.
Granelli silenziosi ma che importano, poiché mi portan dentro – finalmente – il tuo mistero. La tua categoria paradossale priva di parole senza senso. La tua concentrazione.
La tua profonda leggerezza che ti ha rapito al punto da non lasciarti in terra, legata alla materia delle inerzie, per sprofondarti in alto e sollevarti dentro.
Senza respiro e piena d’infinito.