La tenacia del Cardellino
C’è un luogo che più di altri amo quando voglio evadere dalla città ed immergermi in colori, atmosfere e sapori speciali.
È Le Case del Cardellino, formalmente agriturismo, in realtà il mio personale “buen retiro“, quello dove ho deciso di iniziare l’anno ritemprando lo spirito (ed anche il palato, ad esser sinceri).
Quando ho chiamato per prenotare, a Sofia, la splendida padrona di casa insieme al marito Carlo, ho detto: “dopo mi metto a dieta, che sarà il Must, la vetta mistica delle buone intenzioni per il 2017. Ma prima, devo venire a pranzo da voi“.
Un luogo che sembra fuori dal mondo, e a tratti pensi davvero che lo sia mentre percorri alcuni punti della strada per arrivarci; vedi pezzi di asfalto smottati, parti di montagna franata in un tratto di Statale ufficialmente chiusa al transito di veicoli privati e pensi di trovarti in un videogame o in un telefilm di quelli avveniristici. Invece, la strada a dispetto dei cartelli è abitualmente percorsa, anche perché è quella che collega comuni importanti della provincia come Caltavuturo, Sclafani Bagni e Cerda. Tragitto storico peraltro, qui si è svolta tante volte la famosa Targa Florio, gara internazionale di rally. Si trova in un territorio non distante da Palermo, tra il mare di Cefalù e i monti delle Madonie.
Le condizioni della strada sono progressivamente peggiorate da almeno una dozzina di anni, tra piogge, smottamenti e manutenzione non adeguata, fino ad arrivare alle condizioni attuali. Normalmente, in tutto questo tempo si ripristina una importante arteria di comunicazione, no? A maggior ragione se la sua chiusura arreca danni ingenti alle attività imprenditoriali o turistico-ricettive che si trovano lungo il percorso, e in generale al tessuto economico di tutto un territorio, oltre a creare disagi gravi a residenti e visitatori. Ma “normalmente” e “Sicilia” sono due parole spesso incompatibili tra loro, si sa. Così, la Statale 120 continua ad essere chiusa al traffico, a tratti pressoché impraticabile eppure transitata. Non dai bus, ovviamente: così, i ragazzi di Sclafani Bagni che vanno a scuola a Cerda, venti km più giù, devono sobbarcarsi un folle giro di un’ora e mezza ogni mattina per raggiungere la scuola.
Mentre vado, mi fermo in un punto in cui si vede un panorama incantevole sulla vallata, baciata dalla meraviglia del sole siciliano immancabile anche a gennaio, ma è anche un punto in cui mezza carreggiata è scesa di 20-30 cm rispetto all’altra metà. Spiego agli amici con cui sono, piuttosto perplessi, che è tutto ok, arriveremo a destinazione senza problemi e persino con le auto ancora sane! Guardo il panorama e penso a questa mia terra strana, bella, benedetta, maledetta, penso agli occhi fieri di Sofia e Carlo -che potrebbero essere quelli dei tanti che tentano di creare sviluppo sano qui tra mille ostacoli- quando ti raccontano l’amore e l’impegno per metter su l’attività, curarla e migliorarla piano piano, passo dopo passo, vederla crescere ed avere ottimi riscontri dal pubblico. E poi però trovarsi di fronte a un nemico imprevisto: come fai ad accogliere ospiti nella tua struttura se la strada per raggiungerla a tratti sembra buona per Indiana Jones??
Serve un misto di tenacia, ironia, fatalismo e innato buon umore, per vivere in Sicilia e fare impresa
Non bastasse la crisi. Non bastasse la mafia. Non bastassero tasse e balzelli di ogni tipo. Non bastasse la burocrazia e la pubblica amministrazione che complica la vita invece di agevolarla a chi tenta di fare impresa in Sicilia. Ci si mettono pure le strade.
Ma Sofia e Carlo resistono, malgrado tutto. E continuano a curare la loro creatura, a tenerla viva e calda, come il grande camino al centro del salone. Carlo, naturalmente a spese proprie e di propria iniziativa, ha fatto mettere del cemento nei punti più critici della strada, per diminuire il dislivello stradale e renderla così meno disagevole da percorrere.
Qui è così, siamo in Sicilia: il privato sviluppa una straordinaria capacità di arrangiarsi e spesso si sostituisce al pubblico, sempre se riesce a sopravvivere alle inefficienze del pubblico stesso e ai ben noti “problemi ambientali“… Serve un misto di tenacia, ironia, fatalismo e innato buon umore, per vivere in Sicilia e fare impresa.
In fondo, credo che sia proprio per questo che amo questo posto, tanto da aver voglia di trascorrerci il primo giorno del nuovo anno: è un luogo che può essere una perfetta metafora della Sicilia e dei Siciliani. Impervio da raggiungere e poi caldo e accogliente una volta raggiunto. Un luogo pieno di cura, creatività, tenacia, ostinazione, tradizione, sapori, cultura dell’accoglienza. Come la Sicilia, appunto.
Arrivi, parcheggi in mezzo a file di alti cipressi e alberi snelli che si stagliano verso il cielo, sali i gradini che conducono alla struttura centrale e già i tuoi sensi visivi sono coccolati dal verde della vegetazione circostante, ora lussureggiante ora discreta, e dalla cura di ogni piccolo dettaglio intorno alla grande casa. Poi entri e subito, istintivamente, ti senti a casa. Si nota subito che non è il “solito” agriturismo. Lo hanno messo su con passione e buon gusto, anche se Sofia e Carlo, in fondo, non erano del mestiere. Lui avvocato, lei ex assicuratrice, decisero una decina di anni fa di dedicare risparmi ed energie a trasformare un vecchio alloggio per trattori in una struttura in cui l’ospite non solo mangi e dorma bene, o goda della splendida piscina e della Spa, ma si senta veramente a casa. Avvolto dal calore familiare, dell’arredo rustico ed elegante insieme, corredato di piccoli e grandi oggetti particolari, belli e comodi. Io per esempio ho avuto un folgorante amore a prima vista con la poltrona a dondolo di fronte alla tv.
E poi si fa l’orario in cui ti “tocca” la parte più difficile, quella dei veri sacrifici: il pranzo. Di questo non vi dirò molto: va provato, non raccontato. Ed è lì che capisci perché il cibo, soprattutto in Sicilia, è uno dei pochi, veri, grandi, immarcescibili piaceri della vita…
Il problema è che occorre una gestione oculata di appetito e capienza intestinale. Io, che notoriamente sono una buona forchetta, già con gli antipasti potrei alzarmi e poi fare 50 km di marcia per smaltire tutto. Una cucina deliziosa secondo le tradizioni della zona, in cui anche il fritto è sempre delicato, con materie prime di pregiata qualità, tutte prodotte in proprio o comunque a km zero, elaborate con creatività ma senza inutili sofisticherie da novelle cuisine che stonerebbero col contesto. La semplicità con tanta qualità è sempre ricchezza. Buon appetito e da domani tutti a dieta!