Gli Anni più belli
Amo Muccino. Fin dai tempi de L’ultimo bacio mi piace il suo modo struggente, particolare fino ad essere una sorta di marchio di fabbrica, di raccontare le emozioni, le relazioni affettive, le contraddizioni ed il malessere dei nostri tempi, privilegiando spesso, anche se non sempre, il punto di vista maschile.
Aspettavo da tempo di vedere questo film, intanto per il cast degli attori protagonisti, e poi perché sapevo essere un film sul rapporto tra quattro amici e sulle loro vite che si intrecciano, si legano e si allontanano, per poi ciclicamente ritrovarsi, lungo 40 anni di Storia sullo sfondo. Infine, last but not least, perché sapevo che nella colonna sonora, tra gli altri, c’è un altro grandissimo infinito Artista: Claudio Baglioni. A parte il pezzo omonimo scritto apposta per il film, ci sono due canzoni che hanno accompagnato le vite di più di una generazione di Italiani, facendoli commuovere, emozionare, cantare: E tu come stai e Mille giorni di te e di me. Scusate se è poco.
Ebbene, premesso che io non valuto un film con l’oggettività di un critico, non avendone le competenze, ma sempre con la pancia, attraverso il filtro delle emozioni, trovo questo film molto ambizioso, forse fin troppo. Per certi versi incompiuto, quando qua e là la narrazione incespica peccando di superficialità, nel tentativo di essere veloce e non perdere ritmo. Gli Anni più belli richiama in modo evidente Cult del passato, da Fellini nella scena della Fontana di Trevi, a Scola di C’eravamo tanto amati, fino a Giordana de La Meglio Gioventù, anche se lì la narrazione era più centrata sulla Storia, in chiave sociale e civile, mentre qui è più sulle Storie, intime e individuali, dei singoli personaggi.
La prima parte, quella dei quattro ragazzi adolescenti nei primi Anni ’80, in una Roma e una Italia ancora ingenua e vagamente post sessantottina, sembra un melo’ d’altri tempi, a tratti il racconto qui è lento e poco approfondito. Poi, in età adulta, i protagonisti sono fin troppo archetipici, forse troppo rigidi nel voler rappresentare un modello specifico: così, c’è il solito straordinario Favino che è l’idealista che si lascia lentamente irretire dal Potere, Santamaria sognatore un po’ sfigato ed eterno perdente, Kim Rossi Stuart ostinato Romantico che crede nella forza della Cultura e che essenzialmente rimane fedele tutta la vita all’unico grande Amore, che pure lo abbandona e tradisce più volte. E poi Gemma, la Ramazzotti, che interpreta perfettamente, come in molti personaggi della sua carriera, la ragazza fragile, volubile, inaffidabile ma essenzialmente di animo puro, a cui non si può non voler bene. Tutti e quattro lasciano una impronta forte nel cuore dello spettatore, che quando esce dal cinema sente di voler bene a ciascuno di loro come se davvero li conoscesse fin da ragazzini; ma forse è Kim Rossi Stuart che lascia il segno più di tutti, col suo sguardo dolce ma intransigente, di un uomo profondamente sensibile ma non per questo debole.
Insomma, fino a circa due terzi di film continuavo a chiedermi: ti sta piacendo? E avevo sensazioni contrastanti. Poi però improvvisamente la storia ha una accelerata Muccino Style, prende la pancia dello spettatore, ne inumidisce le pupille colpendolo nel punto in cui tutti siamo più fragili: quello del tempo che riannoda i suoi fili e ci riporta davanti d’improvviso quello che ci apparteneva e ci emozionava da giovani. E che in fondo non ha mai smesso di emozionarci. Precisamente, senza spoilerare troppo, nella scena in cui i tre protagonisti maschili si ritrovano dopo tanti anni, ciascuno a suo modo ferito e ammaccato dalla vita, in una trattoria romana. Lì l’emozione prende il sopravvento e il film diventa struggente e commovente, specie per gli over 40 che in qualche modo non possono, un po’ tutti, non ritrovare pezzi del proprio vissuto. Ci sono le ferite, le delusioni, inferte e a turno subite, ci sono figli e genitori difficili in un gioco di ruoli che cambia negli anni, e ci sono comunque sempre i vecchi amici che si ritrovano e in qualche modo sono lo specchio gli uni degli altri, pur nella diversità di ciascuno.
“Ao’, in 40 anni ci starà pure che ogni tanto ci si perda di vista”
“Brindiamo alle cose che ci fanno stare bene…”