Una vita lenta
Dicono che la mia generazione sia digitalmente intossicata. Siamo lì ad aprire i social, cliccare ripetutamente su uno schermo che ci mostra i momenti migliori delle vite degli altri mentre pensiamo di essere gli unici rimasti a fare le cose più banali come lavare i piatti, rifare i letti, annoiarci. C’è sempre un evento a cui non siamo stati invitati, una novità che ci siamo persi, un pezzo di mondo che qualcun altro ha visto prima di noi rubandoci quella sensazione di svolta e cambiamento.
Insomma, la tecnologia ci unisce mentre ci ricorda che noi siamo fermi e gli altri si muovono in modi sempre più interessanti. Allora ho iniziato a pensare al concetto di vita lenta, il contrario dei fast food, del fast fashion, concetti che ci vogliono produttivi, veloci, pronti a cambiare pelle, a guardare più spesso l’orologio in nome di un valore che ci autoregaliamo se restiamo più tempo fuori casa, più tempo in riunione, più tempo a vivere.
Penso a questo ritmo che ha provato persino a cambiare, a cambiarci a causa di circostanze di forze maggiori, ma ci ha scalfito solo superficialmente. A noi piace correre anche se non sappiamo dove andiamo. Corriamo così da poter dire che non abbiamo tempo, che questa vita è un caos, ma meglio così, la vita è ora, siamo giovani, quelle cose lì.
A me piace la vita lenta. Ci pensavo oggi mentre cucinavo il brodo di pollo. Anche con trenta gradi fuori, perché no. La cucina ci insegna questa lentezza meravigliosa e istruttiva. Il ragù napoletano, la genovese, la pasta al forno sono tutti piatti che richiedono tempo e pazienza. Merce di scambio che avevano i nostri nonni, noi no, vendiamo tutto volentieri pur di avere più tempo per seguire le vite degli altri.
Mi affascina la lentezza della natura che veste per mesi foglie verdi e solo gradualmente, senza fretta, decide di cambiare abito e passare all’ocra, all’arancio, al rosso. Mi piacciono gli alberi, che impiegano anni per formare radici solide, ma poi non le lasciano più.
Mi piace che ci sia un tempo per ogni cosa, che ogni frutto abbia la sua stagione, che non si faccia un cruccio solo perché non sarà al centro dell’attenzione il resto dell’anno. Ammiro le bellezze che sanno coesistere senza competizione, senza sforzo, pienamente consapevoli del loro posto nel mondo.
La neve non si aspetta di essere desiderata d’estate e la calura estiva sa che non potrebbe dare il meglio di sé tra caldarroste e camini accesi.
Siamo intossicati, è vero. E forse è un’intossicazione digitale, forse si sta già allargando come una cancrena anestetizzandoci tutti.
Nessuno ci dirà mai che la soluzione è rallentare, scendere dalla giostra, camminare. Questo ritmo stagionale e ciclico è troppo saggio, troppo ancestrale per non dargli ascolto.
Non corro più. Contro il tempo, dietro le persone, al ritmo del dito che scorre velocemente verso destra per vedere la prossima story sull’ennesimo social.
Provate anche voi.