Polaroid di una donna dai capelli bianchi
C’è una certa intimità a passeggiare per la città quando i negozi stanno chiudendo. Un po’ come spegnere la luce dell’abat-jour sul comodino prima di dormire: un atto semplice e ripetitivo ma che tutte le notti ti ricorda che la giornata è finita e domani sarai lì a cominciare qualcosa di nuovo o forse a combattere con il suono della sveglia, o a pregare di prendere sonno e non pensare.
Passeggiavo tra le strade di una città illuminata, ma non troppo in festa e ho notato una donna anziana che metteva in ordine gli articoli in esposizione fuori al suo negozio di artigianato. Erano articoli in ceramica dipinti a mano appesi in file verticali sul muro esterno. C’erano numeri civici, indirizzi, lampade a olio mentre all’interno risaltavano una fila di vassoi, contenitori per il sale e per il pepe, mattonelle da decorazione. Chissà se da qualche parte c’era anche un laboratorio, qualcuno che modella vasi, dipinge, ridefinisce, perfeziona.
La donna aveva i capelli completamente bianchi e due forcine a raccogliere parzialmente le ciocche ai lati del viso. Camminava piano, tirava, spostava, aggiustava.
Sono passati giorni da quel segmento fugace di vita altrui, ma continuo a immaginarla mentre ripete la stessa azione ogni sera con la consapevolezza che il giorno dopo aprirà lo stesso locale, esporrà gli articoli più belli e vedrà la vita scorrere là fuori. Forse da bambina aiutava i genitori nello stesso posto o forse ha comprato l’attività già da adulta. Forse la gestiva il marito, forse si è rimboccata le maniche dopo una perdita. Forse vive da sola e pensa a come sarebbe stata la sua vita se avesse messo su famiglia, se avesse dato una possibilità a quel ragazzo, se, se, se…
Quante volte valutiamo tutti i “se” della nostra vita ingigantendoli, idealizzandoli, ricamandoci sopra infinite vite dorate che non sarebbero mai state nostre. È un esercizio all’infelicità, una pratica costante che ci piace infliggerci nei momenti di sconforto. A me piace la pratica contraria: isolare tutte le condizioni che mi hanno portata a un momento di felicità. Anche solo uno. Centinaia, migliaia di eventi incastrati perfettamente affinché quel solo e unico attimo avvenisse. E forse l’ho anche sprecato senza chiamarlo “felicità”. Ci piace associare questa idea al passato o al futuro, qualcosa che abbiamo stretto tra le mani e qualcosa che otterremo, ma quella lingua di terreno in mezzo è sempre scivolosa e difficile da definire.
In un modo bizzarro, paradossale e forse ridicolo anche questa donna dai capelli bianchi che ogni giorno appende e toglie, lucida e aspetta, è felicità. La apprezzeremo se fosse la scena di un film con uno scenario innevato e un jazz di sottofondo, perché privarci di questi effetti speciali anche nella vita reale? A me piace viverla così, come un’altra Polaroid da collezione scattata in prima persona.
La regalo anche a voi.