Amuleto
Ore ventitré e trenta, esercizio per l’eclissi nell’anno dell’Amuleto. Respiro uno, respiro due, respiro tre. Ancora. Respiro uno, respiro due, respiro tre. Trattieni, ancora, ancora trattieni, ancora. Butta via, adesso lento, lento, lento, piano, piano.
Alfredo si sentiva colpevole di tutti i mali del mondo. La colpa era sua, non poteva esserci altra spiegazione, le cose non andavano bene, la vita non andava bene, lui non stava bene. Neanche le rassicurazioni che il giornalista Leo Pipin sul canale Austral 102 mandava ad intervalli di mezz’ora (spot di “Pubblicità Benessere Universale”, davvero incoraggianti, però supportati da una musica che impediva ogni tentativo di pacificazione con la terra), riuscivano a raffreddare quello strano calore che assaliva la sua testa: uno straordinario calore “astro-pseudo-sidereo” che gli gonfiava il collo, gli arrossava le orecchie, intorpidiva la lingua fino al punto di impedirgli di respirare.
Respiro uno, respiro due, respiro tre. Ancora. Respiro uno, respiro due, respiro tre.
In quei giorni di malessere, Alfredo andava di fretta, veloce, accelerava, spingeva la fisicità del proprio corpo oltre la giusta tensione molecolare. La paura correva al di sopra dei suoi nervi. Questi, allora, si distendevano, s’allungavano, s’arrotolavano, intrecciandosi l’uno con l’altro, mescolandosi come una treccia, fino ad uscirgli dalla bocca con uno strillo stridulo e mal sopportabile, costringendo così Alfredo alla Resistenza. Pura apnea. Un minuto, due minuti, tre minuti e respirare, respirare, lasciarsi andare…Respiro uno, respiro due, respiro tre. Ancora. Respiro uno, respiro due, respiro tre. Piano, piano.
Le colpe del mondo ingombravano la sua ordinarietà come l’ottovolante sovvertiva l’equilibrio gravitazionale.
E allora? Che senso avrebbe avuto giustificarsi? La storia della Teoria Quantistica poteva dargli torto (oppure ragione?) ma lui cercava ragioni, non torti, certezze non ipocrite verità! Ormai, l’Apocalisse giocava con lui a nascondino approfittando delle sue fragilità e dei suoi timori.
Era successo nell’anno dell’Amuleto (o qualche giorno prima), quel tempo della pena e del pericolo, non c’era nessuna intenzione, nessuna volontà di disperdere la consistenza del proprio benessere, nessuna pratica per scoprire il lento sperpero delle virtù. Eppure, semplicemente, quel giorno, Alfredo iniziò ad adattarsi al proprio riflesso, all’apparente immagine che lo specchio restituiva del suo corpo. Un gioco di scambi senza conflitto, un mascheramento senza ipocrisia. Quell’anno, quello dell’Amuleto (o qualche giorno prima), Alfredo avvolse il complicato inspiegabile tempo presente dentro un incarto sicuro e da quel momento iniziò a rappresentare la vita degli altri. Le vite degli altri, quelle immaginate, quelle vite lette sui libri. Gli altri, quelli visti in teatro, quelli ai quali nel passato aveva dato una pacca sulle spalle, quelli ai quali aveva offerto un bicchiere di birra, quelli che aveva amato, quelli che avrebbe voluto amare, o quelli che aveva invidiato stringendo con i denti i bordi della rabbia. Alfredo in un altro, Alfredo altro, altro in un altro, in altri, forse tanti, troppi altri.
Respiro uno, respiro due, respiro tre. Ancora. Respiro uno, respiro due, respiro tre.
A volte riusciva a trattenere il respiro per più di due minuti. Tatatatatatatatatata…,
altre volte intervallava le pause di respirazione con giochi di lingua, la faceva rientrare e poi uscire al ritmo di due secondi, slap, slap, slap slap, slap, slap, slap. Strillava, un sibilo fastidioso, orribile! Fiato di particelle urlanti che s’involavano in aria come proiettili di mortaio bucando qualsiasi ostacolo. Stttttttttstttttttsttttttttstttttttttsssssstttttttt.
L’inverosimiglianza come altare dove conservare le definizione del presente.
Palpita, di fretta, il tamburo del cuore che ritma di sangue e scorre veloce, troppo di fretta, verso l’alto come un soffione infernale destinato a raccogliere le colpe del mondo. Ma noi siamo innocenti! Io sono innocente! Avrebbe voluto gridare Alfredo, o chi in quel momento aveva preso il suo posto. Metterei la mano sul fuoco…Intanto che Leo Pipin, dal canale Austral 102 per la “Pubblicità Benessere Universale”, trasmetteva, in tono molto, molto (forse troppo) rassicurante un lungo elenco di misure alternative da adottare. La musica però sovrastava così tanto la sua voce che nessuno riuscì a percepire in modo chiaro una sola parola, i consigli di Leo Pipin sfumarono nel nulla. Stttttsttttsttttsttttsttttstttttttttttttstttttt.
Respiro uno, respiro due, respiro tre.
Vagabondo alla ricerca del nulla, Alfredo trascorse la fine dei suoi giorni dentro una gabbia, non ricordava più il suo nome, chi era, né da dove veniva. Nelle notti di luna piena i suoi strilli venivano usati per spaventare i predatori.
FOTO PEXEL DI : SERGEY kATYSHKIN – COTTONBRO
Il racconto è stato pubblicato sulla rivista “Ansia e distruzione” Ed. Il Rabdomante in Gennaio 2021 con il titolo Respiro uno, due, tre