Drone: ape, arma, giocattolo. Origine dei velivoli ronzanti
Il neologismo della settimana è drone. Di nuovo un prestito dall’inglese, di nuovo una parola che non sappiamo bene come pronunciare: il drone, letteralmente “fuco, maschio dell’ape” e per estensione “ronzio”, ci svolazza intorno la testa da ormai qualche anno. Che significa nella nostra lingua e perché l’abbiamo preso in prestito? Con il termine drone in italiano ci si riferisce a “un velivolo privo di pilota e comandato a distanza” per scopi che sono civili o, più spesso, militari.
Usi e origini. Quella e finale in inglese non si pronuncia, ma nel lessico comune il termine è stato adattato alle nostre bocche italofone, cosicché leggere drone come si scrive non è considerato errore;
l’adattamento è avvenuto anche sul piano morfologico e di conseguenza il plurale è diventato: i droni. L’origine in inglese è tutta militare e, contrariamente a quanto si possa pensare, il velivolo non deve il suo nome al proprio ronzio: il lessicografo Ben Zimmer sostiene infatti che l’origine del termine derivi dal fatto che negli anni ’30 la marina americana nominò Drone (riferendosi al fuco) il suo bersaglio telecomandato per esercitazioni di tiro che si ispirava a un primo modello britannico chiamato Queen Bee (ape regina). Un gioco sugli insetti che arriva fino ad oggi, ai nostri droni giocattolo o a quelli per riprese aeree.
È utile questa nuova parola? In uso in italiano dal 1987, i droni si sono fatti spazio nei nostri dizionari e nelle nostre bocche poco a poco, approdando dallo scenario militare a quello quotidiano. Il termine si è imposto sopratutto per un motivo logico: non esiste in italiano un equivalente che renda effettivamente l’idea di quell’insieme di ingranaggi volanti che compongono il drone, e il nostrano velivolo è troppo generico.
Un po’ come quell’amico di origini americane che anche dopo una vita intera passata in Italia continuiamo a percepire come straniero, e anche se ha adattato il suo accento al nostro lo chiameremo sempre l’Americano.