Matrioska
Si chiese se non stesse per morire, che di solito le situazioni e i fatti, le persone, ti passano davanti agli occhi in un film veloce, e con il sonoro confuso, quando sei arrivato alla fine, o almeno è questo ciò che si sente dire in giro.
Vide se stessa camminare verso il grande portone di ferro guardandosi dall’esterno, e non si riconobbe. Chi era quella che andava a capo chino e con le lacrime in bilico negli occhi? Una bambolina, la più piccina, quella che trovi dopo che hai aperto tutte le matrioske, sì, le bambole che ne nascondono altre. Ecco lei era così, bisognava aprirla e cercare la parte più intima, ugualmente perfetta.
Vide se stessa camminare verso il grande portone di ferro guardandosi dall’esterno, e non si riconobbe. Chi era quella che andava a capo chino e con le lacrime in bilico negli occhi?
Stupida, disse a se stessa per pentirsene immediatamente, vorresti piangere?
Non lo aveva fatto. Era salita senza accorgersi delle scale, aveva ripreso il lavoro fingendo che il fatto che il mondo fosse cambiato era una cosa che non la riguardava affatto.
Lui era andato via come tutte le altre volte, come cento volte in quegli anni, i suoi occhi dicevano: resto, basta che tu me lo chieda. Non lo aveva fatto. No. E così erano passati anni e fiori sulla sua pelle, e altre matrioske avevano ingabbiato la sua anima, e diventava sempre più complicato. La sera era come togliersi più di un abito e la fatica del giorno per essere ciò che gli altri si aspettavano.
Si può amare più di un uomo e si può restare fedeli all’idea dell’amore. Basta non cadere nel tranello della compassione per se stessi.
Noi parliamo senza dirci quello che altri starebbero a macinare. Perché dovrei dire quello che già sappiamo?
Sei sempre bella. No, non glielo aveva detto, invece le aveva raccontato della sua compagna, e lei aveva ascoltato e si era chiesta se lui avesse sentito il movimento del suo stomaco, una farfalla aveva fatto una capriola, ma doveva avere le ali di ferro, perché si era fatta male, le era mancato il fiato ma aveva continuato a respirare.
Quale delle matrioske aveva assorbito meglio il colpo?
Erano passati anni, figli e vita. Quello che restava erano loro, nudi per gli occhi, vestiti per le parole. Noi parliamo senza dirci quello che altri starebbero a macinare.
Perché dovrei dire quello che già sappiamo?
E così non si diceva, non si faceva perché anche se degli altri non te ne frega niente, questa è una bugia.
E tornava e si chiedeva se quello che adesso i capelli li aveva bianchi avrebbe potuto essere l’uomo della sua vita, (che poi questa è una cazzata, ci spetta più di un uomo nella vita, ecchecazzo!).
Ti chiamerò. Sarebbero passati mesi, come sempre. Ogni tanto lo sognava, era questo il suo modo di cercarla, di farle capire che aveva bisogno di sapere che lei esisteva, stava bene. E tra tre mesi, un anno, cento, non sarebbe cambiato nulla.
E allora perché pensava a lui? Ne sentiva ancora il profumo, vedeva le sue scarpe blu, la camicia con i polsi sfibbiati e il golfino sulle spalle e a come ne aveva sfuggito lo sguardo.
Eppure ogni tanto si guardavano, e lui la vedeva per intero sotto quelle sfoglie di legno dai colori diversi, e la trovava sempre, perché lui l’aveva vista davvero prima che lei si vestisse d’altro e di anni. Ed era così anche per lei.
Tu chiama, se posso rispondo.
È come se ci fossimo lasciati ieri.
Non cambia nulla.
Non è vero, pensò ma non lo disse.
Io sono sempre lei.
Non esiste un noi.
Il portone di ferro era rimasto socchiuso, doveva dirlo all’amministratore, non aveva voglia di farsi rapinare sul pianerottolo. Anche quello era un rischio che non voleva correre