Domeniche Bestiali
Domeniche a confronto, pescando come al solito nei miei ricordi.
Il primo mi viene in mente guardando fuori dalla finestra. Piove. Shit. Le domeniche pomeriggio al mare, con le amiche e i figli piccoli mi sembrano lontane e irreali come un miraggio. Siesta post-prandiale, io sulla sdraio tento di fare un cruciverba, cercando di ignorare la radiocronaca telefonica della vicina di ombrellone ad un volume che farebbe invidia al furgone dell’arrotino. Davanti a noi giocano i pargoli. Stanno dissodando a colpi di paletta un paio di ettari buoni di terreno. La bimba dalle trecce dorate, aria da saputella ma innamorata persa chiede al riccioluto nervosetto e decisamente meno coinvolto, nel tentativo di suscitare un barlume di interesse: “Ma tu perché sai tutte le canzoni inglesi?” E lui “È mamma che a casa, le sente in continuazione!” ” Ah, beato te, mamma mia preferisce gli italiani, sente sempre Vasco Rossi e Jovanotti!” “Noo, la mia di italiani solo ‘I Vibratori’ (= ‘Le Vibrazioni’)”. Sta mentendo… di italiani anche molti altri, le varie scuole di cantautori tutte, ad esempio. Ma ha già capito, il bimbo, che mentire a effetto fa “figo”.
Qualche anno più tardi, intenta nelle mie pulizie di Pasqua fuori stagione, ascolto dal giardino sottostante le dolci voci dei vicini di casa, coppia di miei coetanei, entrambi maestri di balli latini, e sangue caliente, infatti, intenti nella consueta lite domenicale. Stavolta sono in ritardo di una quindicina di minuti, ma sempre in arrivo sul primo binario. Quando si trovano a lavorare in giardino lo scontro è inevitabile. Ormai lo so. Attacca lui, come sempre, con la cazzata – bomba: “Tu proprio non capisci niente!” E lei ovviamente gli risponde: “Capisci tutto tu, infatti! Ora prendo il bastone della scopa e te lo spacco in testa, scommetto che così ragioni ancora meglio!!!”. Io e il micio Mirto li osserviamo dal balcone semi-nascosti dalle tende e diamo ragione a lei, a prescindere. Mi torna in mente la cerimonia del loro 25° anniversario, in chiesa, l’estate precedente. Erano sempre belli ed eleganti, lo dovevo ammettere. Rinnovando le promesse matrimoniali davanti al prete lui tremava e piangeva di commozione, lei guardava nel vuoto. Nel frattempo ognuno dei presenti combatteva a modo proprio la noia e l’imbarazzo. Mio figlio sghignazzava e fotografava da lontano, forse progettando stories su Instagram, mio marito studiava il menu del buffet, io tuffavo il naso nei fiori. La sintesi perfetta, quei fiori colorati, di quella giornata. Sfrontata bellezza a tempo determinato.
Era una domenica di luglio, tanti tanti anni fa. Tu eri a fare il Fiorello dei poveri ed io la guida ai turisti rinco. Lontani, per settimane, per la prima volta. Eravamo i migliori, noi, nel nostro lavoro. Quel giorno che il caldo era insopportabile mi ero infilata in una chiesa con tutta la carovana e davanti alla statua di un santo sconosciuto mi ero inventata la sua storia per intrattenere i vecchi affranti. Vecchi… insomma, ora sarebbero miei coetanei. Un paio di loro perfino “vip”, la sorella del politico De Mita che si sentiva la Regina Madre e una sua facoltosa amica palermitana, moglie di un altro politico, più sfolgorante d’oro di S. Rosalia in processione. E proprio lei mi disse: “Signorina, come mi piace quando racconta le storie… venga al tavolo con noi, a pranzo, che ne voglio sentire altre”. Ne sapevo tante, io, di storie. E a quante storie ho voluto credere, fin da “signorina”… a due occhi azzurri che mi dicevano “sei il sole” per scappare poco dopo dietro il barlume di un ingaggio, e poi ad un sorriso timido e devoto su una maschera di gomma insensibile, alle amiche care che mi barattarono con le attenzioni di un maschio, ai colleghi affezionati che per salvarsi il culo lasciarono me col culo per terra, ai parenti che nell’abbraccio con una mano mi accarezzavano e con l’altra mi pugnalavano… tante, tante storie. A cui il tempo e i fatti hanno dato il giusto finale. Tornando ai rinco della chiesa, quello stesso giorno fui ammessa al fulgido tavolo dei vip a fare il giullare di corte e furono così contenti che mi offrirono una bottiglia di rosso molto pregiato; eravamo in Francia. Me lo portai in camera, dopo. Bevevo da sola, pensando a te. Un bicchiere soltanto ed ero fatta completamente. Mi raccontai una storia, per svegliarmi. Il cui finale hai trovato tu.
Anni più tardi, scenari diversi, ero in versione desperate housewife in fila alla cassa del supermercato, dalla cassiera preferita di mio marito, perché innamorata di lui. All’inizio è delusa, poi vede che lui mi raggiunge e si illumina d’immenso; si anima al punto di infilare una serie di domande a cazzo, tanto per prolungare il contatto: “E il figlione, che fa?” Io : “Gli affari suoi, come al solito”. “Fa caldo fuori?” “Parecchio” “Quando vai in ferie?” Eccola, penso; sorrido sotto i baffi mascherati: “In teoria io sarei già in ferie. Lui va a metà agosto”. “Aaaah, e quando riprendi?” Siamo arrivate alla frutta, ora. Io, placida : “Il primo settembre”. E tengo per me i seguenti pensieri:
Mi spiace molto di averti rovinato l’incontro col tuo bello, ora che sono in ferie mi vedrai più spesso. E nella prossima vita, prima di invidiare il mio marito devoto e le mie ferie lunghe studia per trent’anni, prenditi due master e fatti tre concorsi, come la sottoscritta. Che nel frattempo lavorava, anche. Per arrivare a ottenere uno stipendio sempre uguale e carriera zero, con esaurimento nervoso dietro l’angolo e minimo peso sociale. Con tutto l’affetto, genio. Il marito te lo spedisco a casa una settimanella con la raccolta punti, poi mi racconti.
Pago e saluto.