Arricrearsi, roba da padreterni
Arricrearsi dona un senso di beatitudine. Mentre ci si arricrea, sulle labbra si disegna un sorriso e le narici si allargano per far entrare aria nuova, fresca, pulita. Aria che rigenera, perché – lo spiega la parola stessa – arricrearsi significa creare di nuovo. E di atti creativi Napoli è maestra. La capacità di reinventarsi è da sempre una ricchezza per chi non nasce con i santi in paradiso e anzi, proprio per rovescio di nascita, rischia ogni giorno di ritrovarsi nell’inferno.
Arricrearsi, dunque, implica una rinascita, una risurrezione. Roba da padreterni, insomma. Quando ci si arricrea, quindi, si vince sulla morte. E fare marameo in faccia alla signora con la falce fa arricreare assai. “Datemi un martello/che cosa ne vuoi fare/lo voglio dare in testa a chi non mi va”. Io voglio arricrearmi e darlo in testa alla signora con la falce. Nulla di più politically correct.
Per assonanza – ché la musicalità è un affare che ai napoletani sta molto a cuore – arricrearsi mi porta alla mente la crianza, vocabolo che nel passaggio alla lingua italiana ha trasformato la i in e. ‘A bona crianza non è soltanto la buona educazione, le buone maniere, ma anche la capacità di stare al mondo, il saper campare, saper scegliere tra cosa bona e cosa malamente. Dimostrare, quindi, di non tenere ‘a capa sulo pe’ spartere ‘e rrecchie. Cum grano salis, dicevano gli antichi. Saper campare così fa arricreare assai.
Allora se arricrearsi significa dare scacco addirittura alla morte e, per apparentamento con l’assonante crianza significa pure saper campare buono ‘o veramente, arricreiamoci il più possibile. Facciamo una lista di tutto quello che ci fa arricreare e non facciamocene mai mancare nel menu del giorno. E mano a mano che spuntiamo le caselle, aggiorniamo la lista con nuovi arricreamenti.
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